Una “famiglia” di strumenti per relazioni di fiducia con istituzioni e stakeholder
Trucchi e segreti per rendicontare con trasparenza ed efficacia. Un’accountability ad hoc è un balzo in avanti nella gestione dell’associazione
di Giovanni Stiz, consulente società Seneca esperto in rendicontazione sociale
Ottobre 2010 – Scriveva più di un decennio fa Luciano Tavazza, uno dei padri fondatori del Volontariato italiano, nell’articolo “Trasparenza necessaria”: «Non esiste ancora chiarezza presso la gente né sul modo con cui gestiamo denaro, pubblico e privato, né sulle finalità, gli obiettivi strategici che vogliamo conseguire (..) Non basta dire che il volontariato esiste, fa, opera: a tutti deve essere chiaro anzitutto da dove parte, con che mezzi, con quali finalità (..) Chiarezza vuol dire limpidità e soprattutto trasparenza. Dobbiamo consentire agli altri di guardare dentro le nostre associazioni, di capire aspetti di forza e di fragilità (..) Non è solo un problema tecnologico di comunicazione, ma piuttosto di decidere di porre la gente nelle condizioni di sapere quello che fa il volontariato, di fidarsi di coloro che operano correttamente (..) Si tratta anzitutto di un’operazione culturale, di una conquista di democrazia (..) Dall’assumere una simile decisione di moltiplicare la trasparenza, di rendere tutto visibile a tutti non potremo che guadagnarne in prestigio e credibilità. Ma impegniamoci subito su questa linea che può diventare una delle sorgenti di un nuovo impegno etico per noi, il modo di comunicare l’avventura del volontariato a chi ancora oggi sta ai margini, in attesa di vedere, di capire, di comprendere la nostra strada». (Pubblicato su Rivista del Volontariato, novembre 1999)
Da allora l’esigenza di trasparenza è diventata sempre più forte per le organizzazioni non profit, anche a fronte di un certo indebolimento della funzione di advocacy e di innovazione a favore della produzione di beni e servizi di committenza pubblica, dell’introduzione di significative forme di finanziamento quali il cinque per mille, della diffusione di situazioni di abuso per godere delle agevolazioni fiscali e dei finanziamenti riservati a tali organizzazioni.
Strumento principe – anche se certamente non esclusivo – di trasparenza per ogni tipo di organizzazione è dato dal bilancio, inteso come insieme coordinato di documenti volto a rendicontare a tutti i soggetti interessati, in modo chiaro, sintetico, attendibile, sull’andamento ed i risultati dell’organizzazione.
In questi anni, grazie alle esperienze pionieristiche di numerose organizzazioni e al contributo del mondo della ricerca e delle professioni, si sono progressivamente delineate, precisate e condivise le principali caratteristiche di un “sistema di bilancio” coerente con la specifica identità delle organizzazioni non profit e con le esigenze informative dei loro “portatori di interessi, diritti ed aspettative legittime” (con terminologia anglosassone, gli stakeholder).
L’Agenzia per le Onlus ha cercato di fornire un quadro organico e completo di tale sistema pubblicando, nel 2008 e nel 2010, due documenti di indirizzo al riguardo, che prendono in esame entrambe le “dimensioni” che si ritiene debbano essere adeguatamente rendicontate da un’organizzazione non profit: la dimensione economica e la dimensione sociale, quest’ultima relativa in particolare al perseguimento della missione dell’organizzazione.
Non si può certo dire che con questi documenti le discussioni si siano chiuse e tutti i problemi risolti. Esistono ancora numerose questioni da approfondire, incertezze applicative, opinioni discordanti, necessità di maggiore personalizzazione rispetto alle esigenze di componenti importanti del settore non profit (a partire dalle piccole organizzazioni). Tali documenti non possono quindi essere considerati allo stato attuale né definitivi né unici punti di riferimento per una corretta rendicontazione economica e sociale. Essi sono però sufficientemente autorevoli, chiari e completi per costituire un valido aiuto e punto di riferimento per le organizzazioni che vogliano migliorare la loro rendicontazione, sulla base di considerazioni di “necessità etica” – sulla scia di Luciano Tavazza – o anche di “necessità strategica”, nell’ambito di una gestione consapevole delle relazioni fiduciarie con gli interlocutori dell’organizzazione, in particolare con quelli più interessati e capaci di valutare i documenti di rendicontazione (quali per esempio le fondazioni erogative). Peraltro, in una prospettiva se non di breve, almeno di medio periodo, esiste la concreta possibilità che si determini anche una situazione di “necessità giuridica”, derivante dall’introduzione di obblighi rendicontativi.
Relativamente alla rendicontazione sociale – a cui faremo esclusivo riferimento di seguito, non sviluppando il tema delle rendicontazione economica – alcuni primi interventi in questa direzione sono già stati realizzati.
Per le imprese sociali il legislatore ha previsto l’obbligo di redazione del bilancio sociale, secondo le indicazioni di uno specifico decreto. La Regione Lombardia e la Regione Friuli Venezia-Giulia hanno inserito la redazione del bilancio sociale come una delle condizioni necessarie per l’iscrizione nell’Albo Regionale delle Cooperative Sociali (in assenza della quale una cooperativa sociale non può stipulare convenzioni con gli enti pubblici e godere dei benefici fiscali previsti dalla normativa regionale).
Dato questo scenario in che prospettiva dovrebbe porsi un’organizzazione non profit? Quale approccio adottare? Quali rischi evitare? Quali opportunità cogliere? Due elementi che concorrono in modo fondamentale a determinare l’approccio di un’organizzazione verso la rendicontazione sociale sono relativi alla valutazione, da un lato, della sua utilità (“benefici”), dall’altro, delle risorse necessarie (“costi”), delle difficoltà da affrontare, della sussistenza delle condizioni ritenute indispensabili per poter realizzare il processo.
Rispetto al primo elemento di valutazione, una posizione tuttora significativamente diffusa è di considerare aprioristicamente la rendicontazione sociale come un ulteriore inutile peso di cui un’organizzazione deve farsi carico, il cui unico effetto è di distrarre preziose risorse umane e finanziarie dalle attività svolte per perseguire la missione. In questa prospettiva il documento di rendicontazione sociale viene visto alla stregua di un modulo da compilare, un adempimento burocratico, per il quale bisogna cercare di ridurre al minimo l’impegno necessario, in particolare dei vertici dell’organizzazione. Viene così a configurarsi una “profezia che si autoavvera”: un lavoro così realizzato risulta sostanzialmente inutile, se non per adempiere ad eventuali obblighi normativi.
L’approccio esattamente opposto – spesso veicolato da consulenti “in conflitto di interessi” – consiste nell’attribuire alla rendicontazione sociale poteri quasi taumaturgici, in grado di risolvere problemi di varia natura e di aprire opportunità straordinarie ad un’organizzazione. In tal caso è facile prevedere cocenti delusioni e la conseguente interruzione del processo di rendicontazione (o il passaggio all’”approccio burocratico” prima delineato, in caso di obbligo normativo).
Anche rispetto al secondo elemento di valutazione, si riscontrano spesso posizioni opposte ed ‘estreme’. In un caso vengono sovrastimate le risorse necessarie e le difficoltà, anche in ragione del fatto che si prende come riferimento lo strumento più evoluto di rendicontazione sociale (il bilancio sociale). L’organizzazione rimane così in una situazione di attesa – che in molti casi permane nel tempo – che si creino tutte le condizioni ritenute essenziali. Nel caso opposto si ha invece una sottovalutazione delle risorse necessarie e delle difficoltà, con effetti negativi sull’efficacia del processo che possono portare alla stessa interruzione dell’esperienza.
L’approccio che mi sembra più corretto e lungimirante è di considerare la rendicontazione sociale come una “necessità” a cui non è più possibile – o comunque non è più opportuno – sottrarsi, la cui realizzazione può costituire una significativa opportunità per l’organizzazione, a condizione però che essa sia oggetto di una gestione consapevole che:
- focalizzi i principali benefici attesi, esplicitando le caratteristiche necessarie in tal senso sia del documento sia del processo di elaborazione e comunicazione;
- effettui una realistica analisi delle difficoltà, nel caso ridefinendo in termini più realistici le aspettative precedentemente identificate;
- scelga di conseguenza lo strumento di rendicontazione sociale più idoneo;
- garantisca continuità al processo di rendicontazione, ponendosi in una prospettiva di miglioramento continuo.
Questa scelta di criterio si basa sulla considerazione che esiste una “famiglia” di strumenti di rendicontazione sociale volti a rappresentare operato e risultati complessivi di un esercizio, che possono essere visti (in una prospettiva dinamica) come tappe successive di un possibile (ma non strettamente necessario per tutte le realtà organizzative) processo di sviluppo.
Una classificazione che si propone è illustrata nella tabella seguente:
Tale classificazione si fonda innanzitutto sulla identificazione di due ambiti fondamentali di rendicontazione sociale per una organizzazione non profit: quello relativo al perseguimento della missione istituzionale dell’organizzazione (e quindi degli obiettivi strategici in cui questa viene declinata), corrispondente agli interessi e aspettative di specifiche classi di stakeholder, e quello (che contiene il precedente) che si riferisce a tutti gli aspetti e questioni rilevanti per tutti gli stakeholder dell’organizzazione.
Per esempio la rendicontazione sul comportamento in ambito ambientale (energia, trasporti, rifiuti, ecc.) di un’organizzazione in linea generale non viene effettuata nel primo caso, mentre deve esserlo nel secondo caso. Ciascuno dei due scopi informativi può essere perseguito a livelli crescenti di completezza e qualità.
Rispetto al perseguimento della missione si passa così da un “rapporto di attività” a una “relazione di missione” (le cui caratteristiche sono precisate nelle linee guida sulla redazione del bilancio di esercizio dell’Agenzia per le Onlus (citate in nota 2), fino al “bilancio di missione”. Rispetto alla più ampia prospettiva di rendicontazione sociale si passa invece dalla “relazione sociale” al “bilancio sociale”, che costituisce lo strumento più complesso ed impegnativo (oggetto di numerose linee guida, in particolare di quelle dell’Agenzia per le Onlus).
Un’organizzazione dovrebbe quindi individuare lo strumento più idoneo, tenendo conto da un lato delle risorse – umane, finanziarie, informative – disponibili, dall’altro dei benefici che ritiene di poter ottenere , avviando un processo di miglioramento continuo che consenta di consolidare ed affinare lo strumento o, se giudicato opportuno, di “passare” ad uno strumento più evoluto.
Una delle difficoltà principali che molto spesso le organizzazioni non profit si trovano a dover affrontare in una fase iniziale della rendicontazione è data dalla mancanza di un adeguato sistema di rilevazione ed elaborazione dei dati, che li renda disponibili in modo efficiente e tempestivo e ne garantisca la qualità. In tal caso la realizzazione del documento di rendicontazione sociale costituisce la “spinta” e fornisce gli indirizzi per la progressiva creazione di tale sistema, i cui vantaggi vanno ben oltre le pure esigenze di rendicontazione. In altri termini è lo stesso processo di rendicontazione che crea le condizioni per un suo ulteriore sviluppo, e nel far questo determina un miglioramento di ordine più generale. Queste considerazioni aprono il tema dei benefici che la rendicontazione sociale può determinare, benefici che, se non “straordinari”, possono comunque essere significativi e che in molti casi riguardano principalmente proprio la capacità di governo e gestione dell’organizzazione. Il processo di rendicontazione può costituire infatti, se gestito con modalità partecipate e aperte alla discussione e al cambiamento, un’occasione fondamentale per interrogarsi sistematicamente sulla propria identità, indagare se e come lo scopo ed i valori dichiarati diventano agire concreto, cercare modi per valutare la coerenza con la propria missione ed i risultati determinati, stimolare – come si è detto sopra – ed orientare lo sviluppo di altri strumenti di governo e gestione.
In particolare, per molte organizzazioni che stanno vivendo una fase di trasformazione, tutto ciò può assumere un ruolo importante per evitare fenomeni di “scostamento dalla missione”, equilibrando la dimensione imprenditoriale con quello sociale e valoriale, o, meglio, svolgendo una funzione di integrazione tra le varie dimensioni della gestione e tra i vari strumenti utilizzati. A ciò si aggiungono i potenziali benefici legati alla comunicazione del documento di rendicontazione ai vari interlocutori interessati alla valutazione delle attività svolte e dei risultati conseguiti da un’organizzazione.
Anche in questo ambito i benefici non devono però essere dati per scontati e devono essere oggetto di specifica attenzione, tenendo conto delle diverse modalità di approccio degli stakeholder ad un simile documento e cercando di conseguenza di favorirne l’effettivo utilizzo.
In conclusione, sembra che stia avvenendo il passaggio da un periodo pionieristico della rendicontazione sociale delle organizzazioni non profit, caratterizzato da poche esperienze volontarie tra loro fortemente disomogenee, ad un periodo di più larga diffusione, sostenuto da riferimenti sufficientemente stabili e riconosciuti – anche se non definitivi – e da una sempre maggiore importanza attribuita alla trasparenza, che potrà portare anche alla creazione di obblighi normativi.
La questione cruciale per il mondo non profit è di acquisire consapevolezza del rilievo etico e della valenza strategica della trasparenza e della rendicontazione sociale, evitando di adottare approcci burocratici o di attesa, ma assumendo l’iniziativa in modo da garantirne utilità e sostenibilità.