Valtellina, coltivare uva e mele per far germogliare l’integrazione
#artedellintegrazione
Formazione e lavoro al centro del progetto di inclusione dei giovani migranti in provincia di Sondrio. Anche il volontariato in campo per l’agricoltura di montagna insieme a 450 aziende
di Ilenia Pusterla
I segreti della potatura e della cura della vite, pianta che segna il paesaggio e l’anima dei valtellinesi, trasmessi da un senegalese a dei ragazzi migranti in cerca di riscatto. E la vite che, nonostante le intemperie, dà i suoi frutti: i grappoli non sono tanti, il tempo e mani esperte li hanno selezionati. Ma la qualità sembra buona. E la vendemmia lo conferma.
Occorre però fare un passo indietro. In provincia di Sondrio aumenta il numero di giovani migranti, dai 18 ai 30 anni, di prima e seconda generazione, che faticano a trovare un lavoro. Sulle dieci mila persone di origine migrante presenti si stima che il 15% sia in cerca di un’occupazione. Di contro, le imprese locali che operano nel settore della viticoltura, frutticoltura e apicoltura faticano a trovare risorse umane competenti e motivate da impiegare. Le aziende agricole in provincia di Sondrio sono 2.250 delle quali circa 450 hanno dipendenti e assumono anche durante l’anno per attività stagionali come la raccolta delle mele e dell’uva.
Incrociare questi due bisogni è la soluzione trovata da una rete di organizzazioni di volontariato della provincia di Sondrio attive nell’ambito dei migranti (Dukorere Hamwe, Anolf Cisl Sondrio, Articolo 3, Milky Way, Senegal Contact) unitamente a Coldiretti e Fondazione Fojanini di studi superiore nel Bando volontariato 2014 promosso dal Coordinamento lombardo dei Centri di servizio per il volontariato, Fondazione Cariplo e Co.Ge.-Comitato di gestione del fondo speciale per il volontariato in Lombardia.
In tutto sono stati coinvolti 35 giovani, di sei nazionalità diverse, la maggior parte africani. Dopo una prima selezione, in ventinove hanno partecipato al corso base in frutticoltura e viticoltura previsto dal bando. In ventidue hanno portato a termine i dieci incontri di quattro ore ciascuno (metà teoriche e metà pratiche) con tecnici specializzati, sviluppando competenze di lavoro in ambito agricolo. Le ore in aula sono state integrate da ore sul campo, in vigna, per mettere a frutto concretamente quanto appreso. Le associazioni di volontariato sono riuscite ad attivare anche tre tirocini in aziende locali dove i giovani hanno potuto ulteriormente mettersi alla prova.
Pensionati e volontari in campo
Alcuni volontari e anziani si sono messi a disposizione e hanno provato a trasmettere ai giovani migranti saperi tramandati da decenni. Mani che, per la fragilità dell’età, avevano dovuto abbandonare la vigna hanno raccontato più delle parole ad altre mani che cercavano di capire come dare forma ad un tralcio per ottenere un vino migliore. «Questi ragazzi arrivati in Valtellina inizialmente non si erano neanche accorti delle coltivazioni sulle pendici delle montagne – spiega Fides Marzi Hatungimana, presidente della onlus Dukorere Hamwe-Lavoriamo Insieme – poi si sono chiesti cosa fossero, senza cogliere il lavoro che c’era dietro e la loro importanza dal punto di vista paesaggistico e culturale. Ora sanno che quei terrazzamenti sono fonte di vita e di reddito e che il lavoro in vigna non richiede solo fatica fisica, ma anche abilità, studio e ricerca. Occuparsi della vite, così come delle api o di un frutteto, è estremamente gratificante perché dal nulla puoi ricavare cose straordinarie».
Si diventa bravi tecnici con la conoscenza e l’esperienza, senza lasciare nulla all’improvvisazione. «Oggi non puoi andare a proporti ad un’azienda sperando che ti diano un lavoro – sottolinea Fides, laureata in agraria – devi prima formarti sia dal punto di vista teorico che da quello pratico. Per rimettersi sul mercato del lavoro, soprattutto di questi tempi, c’è bisogno di avere una conoscenza specifica e di alto livello e gli imprenditori non hanno tempo di insegnarti un mestiere. La formazione ha avvicinato le persone alle imprese. Adesso sta ai giovani dimostrare di avere capacità e volontà. I loro datori di lavoro li potranno misurare sul campo. Serve fiducia reciproca. E lo stesso format, alternando scuola e lavoro, può essere ripetuto anche in altri settori, forestale, meccanico, idraulico e per persone di tutte le età».
Attualmente tre dei giovani coinvolti nel progetto lavorano in agricoltura, sono stati assunti da imprese locali con contratti a tempo indeterminato e con ruoli di responsabilità, tre sono impiegati in settori diversi e cinque si dedicano alla viticoltura e alla frutticoltura solo stagionalmente. Gli altri sono tornati a fare gli ambulanti. Con una prospettiva di vita, però, che è cambiata. Con un’attenzione diversa al territorio che li ospita e una consapevolezza maggiore dell’impegno che dovranno mettere per trovare nuove occasioni.
La voce dei protagonisti
«I ragazzi all’inizio erano un po’ diffidenti perché gli sembrava strano farsi insegnare a lavorare la terra, in Africa lo si fa e basta – ricorda Cheikh Mbacke Lo, presidente dell’associazione Sen.Pro.Res.-Senegal Progresso Responsabilità – poi c’era il problema della lingua, ma abbiamo definito regole chiare, abbiamo messo l’obbligo della frequenza e li abbiamo visti pian piano diventare curiosi di quello che gli veniva insegnato e di poterlo mettere in pratica. Dai loro occhi è scomparsa la rassegnazione. Adesso lavorare la terra gli piace. L’integrazione passa attraverso la formazione e il lavoro».
L’associazione Sen.Pro.Res, ultimato il Bando volontariato, ha deciso di far proseguire ad alcuni ragazzi l’esperienza intrapresa ridando nuova vita ad una vigna nel comune di Castione, rimasta incolta per l’impossibilità dell’anziano proprietario di dedicarsi al lavoro agricolo. Ad insegnare ad una decina di migranti i segreti del mestiere è Seidou Goudiaby, un ragazzo senegalese arrivato in Valtellina nel 2007 e poi assunto da un imprenditore locale che alcuni anni più tardi gli ha pagato un corso triennale con un’impresa friuliana su un progetto sperimentale per la cura dei vigneti valtellinesi. Seidou dedica volontariamente molte ore del suo tempo per far vedere ai suoi connazionali come cresce una vigna e come la si cura, dalla potatura alla vendemmia: «È impegnativo, ma bello – racconta – mi piace l’agricoltura e ho sempre avuto tanta voglia di imparare e di crescere e trovo lo stesso nei ragazzi che sto seguendo, imparano in fretta e sono contenti di quello che fanno. È importante aver voglia di migliorare e ambientarsi nell’ambiente in cui vivi. In base a quello che c’è sul territorio devi darti da fare e cercare un’occupazione in quella direzione. Io sono arrivato qui e ho visto che, dopo la crisi, c’era l’agricoltura ed era ancora viva».