La forza delle partnership, bilanci solidi e progetti da Oscar. Quando unità fa rima con qualità
di Elisabetta Bianchetti
L’evoluzione del volontariato, dopo la Riforma. Il semplice “fare rete”, ossia lavorare insieme ad altri su obiettivi comuni, non basta più. Oggi la propensione è di quella di costruire alleanze: per le organizzazioni vuol dire mettere in comune programmi e ridurre i costi, pur rimanendo “indipendenti”.
Eppure, in questi anni in Italia, la diffusione della cultura e della pratica del lavoro collaborativo non è decollata per una serie di fattori: dalla frammentazione delle organizzazioni alla specializzazione della mission e delle loro attività.
Inoltre un elemento che ha caratterizzato la trasformazione del volontariato è stato l’aumento della “specializzazione funzionale”, cioè la tendenza delle associazioni a concentrare il proprio intervento in un numero sempre più ridotto di ambiti, piuttosto che rivolgersi a una molteplicità
di campi d’azione.
“Fare rete” non basta più: è il tempo delle “nozze” strategiche per far decollare la propria associazione. Ecco una bussola per orientarsi nel non profit che verrà
Un fenomeno che non ha agevolato l’individuazione di spazi e occasioni di collaborazione.
Come insegna la teoria delle reti sociali «l’incremento del numero dei nodi, cioè dei soggetti che fanno parte di una rete, rende difficoltoso mantenere la connessione tra i suoi membri e gli sforzi, che ogni soggetto deve fare per avviare relazioni con i nuovi arrivati, non sono sostenuti dalle risorse disponibili: di fatto, è molto più facile e conveniente rafforzare le relazioni e la collaborazione già avviate con pochi altri soggetti che si conoscono e di cui ci si fida».
Questa asimmetria però produce una sostanziale diseguaglianza tra le associazioni di un territorio, poiché le organizzazioni più “forti” tenderanno ad allearsi con quelle ritenute altrettanto forti.
Coalizioni: la sfida che parte dall’Europa
«L’arretramento dell’intervento pubblico, particolarmente evidente nell’ambito della pianificazione strategica, pone ai territori e ai soggetti che vi operano l’urgenza di uscire dalla logica progettuale – ovvero
del singolo intervento – per mettere a fuoco obiettivi di medio e lungo periodo». Valentina Laterza, responsabile della programmazione di Base Milano, centro ibrido per la creatività e la rigenerazione urbana, ci spiega come dal suo punto di vista come «intorno a obiettivi chiari e definiti, di urgenza condivisa, è più facile per il Terzo settore attrarre le energie di soggetti diversi: profit e non profit, enti pubblici e enti di formazione, comitati e reti di cittadini, media, eccetera».
Infatti a suo avviso una risposta c’è ed è la coalizione, cioè «un gruppo eterogeneo di attori interessati a una sfida comune, interessati a
ragionare in un’ottica sinergica, anche di competizione collaborativa,
disponibili a responsabilizzarsi nell’attuazione di misure concrete per contribuire al risultato comune».
Su questa linea di pensiero anche le politiche europee si stanno orientando verso il concetto di coalizione per consentire azioni costruttive e per creare una comunità più capace. «Il più ambizioso modello di coalizione cui riferirsi – spiega Laterza – è l’iniziativa della Commissione Europea “Grand Coalition for Digital Jobs”, con l’intenzione di far crescere in maniera esponenziale il settore delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (ICT). Accanto a
una sfida immediatamente evidente, come quella di rispondere alla trasformazione del mondo del lavoro insieme all’innovazione tecnologica,
sono individuate cinque semplici priorità, che corrispondono a settori di intervento e obiettivi specifici». E aggiunge: «Le modalità di azione e di coinvolgimento e di interazione tra gli attori sono completamente
lasciate alla definizione dei territori, con assoluta libertà di customizzazione.
L’assenza di modelli a cui aderire favorisce i processi bottom-up, con la valorizzazione delle energie, delle esperienze, delle specificità territoriali».
Proprio per questa caratteristiche «mi sembra che la “coalizione” sia uno strumento adatto a interpretare la fase in cui operiamo: scarsità di pianificazione e di risorse economiche, fluidità delle energie e velocità dei processi. Un hardware semplicissimo, su cui poggiare software dinamici».
In America decollano nuovi modelli di collaborazione
Una serie di articoli – “Advancing the Art of Collaboration” – pubblicati
su “Stanford Social Innovation Review” e su numerose altre pubblicazioni nel mondo anglosassone mostrano una crescita dell’interesse verso nuove forme di collaborazione fra le organizzazioni non profit, così come la gamma di modelli, guide, studi di casi e dibattiti sulle migliori pratiche. Ne risulta il desiderio di garantire che la collaborazione sia fatta con attenzione, rispetto ed efficacia. Inoltre, negli ultimi anni, soprattutto negli Stati Uniti, sono raddoppiate, con
una crescita del 60 per cento rispetto al periodo di pre-crisi, nuove formule di partenariato tra enti non profit.
Questo orientamento si basa su due principi fondamentali: anzitutto il settore non profit è frammentato e composto da piccole e medie organizzazioni; in secondo luogo, le economie di scala aumentano l’efficienza migliorando l’efficacia. Rispetto alle imprese, infatti, il settore non profit è piccolo sia in termini di unità organizzative sia per le dimensioni medie delle organizzazioni. Così come non è possibile affermare che la presenza di “molti attori” sia causa di una concorrenza per l’accaparramento di finanziamenti. Il motivo? Sono
pochi i fondi a disposizione per sostenere servizi importanti per la comunità che solo il non profit offre. In sostanza, la maggior parte delle organizzazioni risponde a ciò che gli economisti chiamano un “fallimento del mercato” in quanto fornisce aiuto e sostegno alla comunità.
Con governi e donatori privati che devono colmare la carenza di finanziamenti. E, in periodi di congiuntura sfavorevole, queste parti tendono a tirarsi indietro, lasciando il Terzo settore con stanziamenti inadeguati, spesso proprio nel momento in cui stanno vivendo un aumento della domanda. Che fare allora di fronte all’affermazione secondo cui ci sarebbero troppe organizzazioni ed eccessivamente piccole in un settore che sarebbe più stabile se si componesse di un minor numero di associazioni più grandi e forti? Secondo questa critica
il settore è inefficiente perché tanti gruppi forniscono gli stessi servizi. Ma questo si rivela un concetto troppo semplicistico.
Infatti quando alcune organizzazioni svolgono attività simili all’interno della comunità è perché questa ha bisogno di più sevizi, non di meno. Se consideriamo per esempio una città, con cinque strutture di accoglienza per senza fissa dimora, con una capacità complessiva di 100 posti letto e constatiamo che ci vivono quasi 500 senzatetto, anche se queste strutture offrono servizi essenziali, insieme possono aiutare soltanto uno su cinque dei senzatetto della loro comunità; i letti sono troppo pochi, non troppi.
Il problema qui non è la duplicazione di servizi, ma la duplicazione delle strutture che offrono servizi. È per questo che unire le forze potrebbe avere senso. Secondo numerosi esperti americani, le alleanze strategiche potrebbero essere una risposta perché permetterebbero alle organizzazioni di mettere in comune programmi e ridurre i costi pur rimanendo in qualche modo indipendenti.
Amelia Kohm e David La Piana, nella pubblicazione “Strategic Restructuring for Nonprofit Organizations: Mergers, Integrations, and Alliances“, spiegano che un’alleanza strategica è qualsiasi collaborazione intrapresa da un’organizzazione senza scopo di lucro insieme ad altre, progettata sfruttando i punti di forza di ciascuno per raggiungere un obiettivo comune. Quindi «alleanza strategica” è una relazione reciprocamente utile. Chiariscono poi che se un’organizzazione vuole trovare un partner per ridurre i costi, dovrebbe in primo luogo esaminare la possibilità di realizzare una fusione delle funzioni amministrative e realizzare un consolidamento amministrativo. Questa modalità infatti consente di condividere i servizi gestione, pur rimanendo entità completamente separate. Nella maggior parte dei casi, un gruppo fornisce servizi per gli altri come se fosse un fornitore.
Per Kohm e La Piana, la programmazione congiunta utilizza lo stesso meccanismo: un accordo scritto o un contratto che combina programmi piuttosto che funzioni amministrative, senza intaccare l’indipendenza di ciascuna organizzazione.
Così negli States hanno salvato due musei
Per fare un esempio di consolidamento amministrativo gli autori citano l’accordo tra due dei più importanti musei di Chattanooga (Stati Uniti), il Creative Discovery Museum (CDM) e l’Hunter Museum of American Art. Ciò di cui entrambe le istituzioni avevano bisogno era una soluzione che non solo rendesse le loro attività più efficienti, ma offrisse anche ai propri staff l’opportunità di concentrarsi maggiormente sullo sviluppo di iniziative rivolte alla comunità. Il primo, il Creative Discovery Museum, dalla sua apertura nel 1995, aveva avuto una gestione in deficit perché è stato concepito per ospitare più visitatori di quanti non ne avesse mai ospitati. La seconda organizzazione, il Museo Hunter sull’arte americana, era in uno stato completamente diverso, anche se altrettanto difficile. In buona sostanza, l’istituzione culturale più antica di Chattanooga era scollegata dalla comunità. Inoltre il funzionamento delle infrastrutture divenute obsolete, con un basso accesso ad internet aveva esacerbato il distacco del museo dal resto della comunità. Per ambedue gli enti la soluzione è arrivata attraverso un consolidamento amministrativo con il Tennessee Aquarium. In effetti, questo ente si trovava con un elevata capacità amministrativa: le sue finanze, risorse umane e altre funzioni di back-office potevano farsi carico di un’ulteriore mole di lavoro senza l’aggiunta di nuovo personale.
L’Aquarium ha respinto l’ipotesi di una fusione con i due musei, ma ha rilanciato la proposta di un consolidamento amministrativo, tanto che ha fornito e messo a disposizione risorse finanziarie, umane, tecnologie e altri servizi per i due musei. Ogni ente ha mantenuto la propria leadership e missioni separate. L’impatto positivo del consolidamento ha rafforzato le funzioni operative e programmatiche delle istituzioni ed è stato percepito sia all’interno del personale dei musei tempo per concentrarsi sulla programmazione.
Negli otto anni da quando è iniziato il consolidamento, il Creative Discovery Museum e il Museo Hunter hanno risparmiato quasi quattro milioni di dollari in costi amministrativi. Nello stesso periodo, l’acquario guadagnato più di un milione di dollari in tasse dai suoi soci.
Sebbene i benefici finanziari e operativi della partnership siano significativi, è anche importante sottolineare come il consolidamento abbia alimentato uno spirito di collaborazione che ha favorito la mission di tutte e tre le istituzioni. Non a caso, le partnership comunitarie hanno ampliato il ruolo dei musei nella comunità. Piuttosto che essere semplicemente un luogo da visitare, i musei svolgono anche un ruolo attivo nei programmi formativi collaborando con i docenti della scuola. Anche le organizzazioni locali hanno tratto beneficio dalla collaborazione che ha portato alla creazione dell’Associazione degli educatori del museo di Chattanooga che organizza campi estivi collaborativi, programmi congiunti per la famiglia e molteplici programmi scuola-museo che beneficiano di un numero maggiore di cittadini rispetto a quelli che ciascuna organizzazione potrebbe raggiungere da sola.
New York unita: mano tesa a neo mamme e papà
La programmazione congiunta utilizza lo stesso meccanismo, un accordo scritto o un contratto, anche se si combinano programmi piuttosto che funzioni amministrative. Un esempio? Due organizzazioni di New York, Every Person Influences Children e Baker Victory Services, che fornivano aiuto e sostegno ai genitori per favorire lo sviluppo sociale, emotivo e cognitivo dei loro figli e prepararli meglio alla scuola.
Mentre i programmi avevano punti di forza unici, le organizzazioni raggiungevano un numero limitato di partecipanti e nessuno dei due aveva la capacità di valutare l’impatto che stavano avendo sulla comunità.
Ciò di cui avevano bisogno era una nuovo progetto capace di implementare un programma più robusto per sfruttare e valorizzare meglio i loro punti di forza e per generare cambiamento sullo sviluppo della prima infanzia.
I due enti hanno così iniziato a fornire servizi di supporto per i neo genitori per superare una varietà di condizioni ambientali e socioeconomiche identificate come fattori di rischio per i minori. Sebbene ogni programma fosse pertinente, uno era più incentrato sullo sviluppo delle capacità genitoriali, mentre l’altro si rivolgeva più ad un supporto medico. Del resto, i due programmi erano di portata limitata, miravano allo stesso pubblico e lavoravano in isolamento l’uno dall’altro. Ciò aveva determinato un aumento della concorrenza per
i finanziamenti e una duplicazione di servizi che aveva limitato la capacità delle organizzazioni di migliorare e innovare. Quindi i due enti hanno capito che erano necessari servizi più innovativi per educare un numero crescente di nuovi genitori e che, lavorando insieme e sfruttando i punti di forza degli altri, potevano ottenere risultati migliori e valutare meglio l’impatto delle loro organizzazioni. Dopo un intenso processo di pianificazione biennale, le organizzazioni hanno sviluppato e implementato un nuovo progetto “Ready, Set, Parent!”, che ha adattato e unito alcuni elementi dei programmi originali apportandone modifiche per determinarne la fattibilità e l’efficacia.
Responsabilità condivise, raccolta di fondi congiunta e marketing congiunto
hanno ulteriormente integrato le organizzazioni. Uno sforzo che ha portato come risultato 1,3 milioni di dollari in stanziamenti da donatori durante il suo primo anno di attuazione e “Ready, Set, Parent!” è stato esteso a tutti e quattro gli ospedali della contea di Erie County nello stato di New York.
Internamente, i risultati della collaborazione programmatica e del consolidamento amministrativo hanno aumentato l’efficienza operativa, ci sono stati significativi risparmi sui costi e una migliore qualità. Esternamente, il programma ha avuto un impatto profondo sui nuovi genitori e ha stabilito un modello per piani di educazione che possono essere implementati a livello nazionale.