Vita associativa a distanza? I CSV soccorrono il volontariato anche grazie ai francesi
Incontri e attività in sicurezza, organizzazione e governance degli enti, reclutamento e passaggio generazionale: Centri di servizio mobilitati sul modello transalpino
di Silvia Cannonieri, Francesco D’Angella, Lorena Moretti, Claudia Ponti, Alessandro Seminati*
Non è un’impresa semplice riflettere sull’aggregazione nell’epoca che ha coniato il termine “distanziamento sociale”, che pur preferiamo definire fisico, in una fase di grande incertezza globale nella quale molte organizzazioni del Terzo settore si stanno interrogando su come ripartire e poter ricostruire una dimensione di socialità. Le forme dell’aggregarsi costituiscono le fondamenta dell’associazionismo tradizionale, che è nato e cresciuto nei circoli, nelle sedi associative, nelle parrocchie e in tanti altri luoghi emblematici della vita sociale di una città.
Interrogarsi oggi su come è cambiata l’aggregazione significa toccare una pluralità di aspetti della vita associativa, tanto fisici quanto relazionali, che spaziano dai luoghi dello stare insieme, alle opportunità di fare assieme.
Come ripensare i luoghi di aggregazione
Sono le attività associative di natura ricreativa e aggregativa quelle maggiormente penalizzate durante l’emergenza. Lo evidenzia un’indagine condotta durante il lockdown dai Centri di servizio per il volontariato attraverso un questionario elaborato dalla rete nazionale CSVnet. Da Nord a Sud della penisola, i dati raccolti da molti CSV italiani1 restituiscono la fotografia di una consistente fetta di volontariato che non si è fermato, ma che ha dovuto ripensare molte delle proprie attività e lasciare indietro prevalentemente quelle che creano socialità.
Mettendo sotto la lente di ingrandimento i dati della Lombardia, regione in cui la pandemia ha colpito in modo particolarmente duro, su un campione di 1.062 enti emerge un panorama diviso tra una metà che ha svolto attività e servizi in risposta all’emergenza tramite azioni già sperimentate in passato (35%), del tutto nuove (20%) o combinando know how e resilienza (45%) e un’altra metà che non lo ha potuto fare. In entrambi i casi le attività ordinarie sono state significativamente ridotte, in particolare quelle di formazione ed educazione, insieme alle culturali e ricreative, spesso addirittura interrotte. Le cause? Il rispetto dei decreti governativi (499) seguito dall’indisponibilità di sedi (72) o di volontari (66).
Anche il Terzo settore d’oltralpe è stato travolto dalla crisi e questo ha spinto un gruppo di organizzazioni ombrello2 a condurre una ricerca di livello nazionale per mettere in luce l’impatto tanto umano quanto economico della pandemia sul mondo associativo.
Un’indagine condotta in tre fasi: durante il lockdown, subito al termine e a un paio di mesi dalla fine del confinamento. I dati sinora rilasciati, raccolti su un campione di 12.248 responsabili associativi (fase due) che si somma agli oltre 20.000 responsabili associativi (fase uno) e ai 2.000 volontari intervistati, restituiscono uno spaccato molto vicino al nostro, corredato da alcuni spunti di riflessione. Sul suolo francese, l’89% degli enti ha avuto difficoltà a continuare le proprie attività, ed è riuscita a mantenere meno del 20% di quelle ordinarie. Le organizzazioni più piccole e quelle operanti in ambito sportivo sono state le più colpite. Sport, educazione e cultura sono inoltre gli ambiti in cui persistono maggiori incertezze sul futuro e sui tempi di ripresa delle attività. L’indagine evidenzia anche l’interruzione degli eventi in calendario nel primo semestre dell’anno: il 90% delle associazioni ha dovuto annullare tutte le iniziative di ambito ricreativo, sociale, culturale e sportivo che, oltre ad avere una forte valenza di socialità, rappresentano occasioni di raccolta fondi, coinvolgimento di nuovi volontari, incontro con la cittadinanza e visibilità sul territorio.
Tra le maggiori preoccupazioni sulla ripresa delle attività spiccano quelle di natura strutturale, legate al rispetto delle misure di distanziamento fisico e alla conseguente necessità di riadattare gli spazi. Un problema che si pone in particolar modo guardando all’autunno, quando si tornerà in spazi chiusi e con la minaccia di una seconda ondata di contagi, e che potrebbe richiedere un grande sforzo tanto progettuale quanto economico da parte degli enti. Un tema caldo anche in Italia.
Secondo quanto sostenuto in un seminario di CSVnet sul tema “Volontariato e sicurezza” da Marco Livia di Acli nazionali, associazione che ha nei circoli territoriali la sua linfa vitale, sarà fondamentale ripensare le attività per mantenere viva la socialità anche in epoca di distanziamento fisico. La sfida è quella di riqualificare la socialità uscendo dalla sola dimensione fisica della sede o del circolo e ampliando il campo d’azione a tutta la comunità: «Molti spazi – afferma Livia – nascono per essere luoghi di socialità e di comunità per cui il distanziamento deve essere solo fisico, se le attività vengono svolte solo all’interno, ma in un’ottica di riprogettazione e con un’apertura al territorio lo spazio fisico del circolo o dell’associazione può moltiplicarsi a dismisura»3. Per non farsi cogliere impreparate domani, molte organizzazioni e reti associative si stanno interrogando oggi su come ripensare le proprie attività per conciliare la realizzazione degli obiettivi di socialità con le attenzioni sanitarie.
Rilanciare la partecipazione democratica
Aggregarsi, riunirsi e fare insieme rappresentano quell’essenza dell’associazionismo che nei mesi di emergenza sanitaria è rimasta sospesa, mettendo talvolta in crisi la stessa vita associativa negli enti. Sempre l’indagine francese evidenzia che il 57% degli enti associativi ha dovuto rivedere le proprie modalità interne di funzionamento, avvalendosi di strumenti digitali per mantenere le relazioni a distanza (34%) e mettendo in campo nuove pratiche organizzative e di governance (23%) nonché di relazione con i propri soci/beneficiari (23%). Un vero e proprio sforzo organizzativo volto a preservare anche a distanza il cuore pulsante della vita associativa, oltre che i servizi stessi. Il recupero della dimensione relazionale si colloca al secondo posto tra le preoccupazioni per la ripartenza, in particolare riguardo la ripresa delle relazioni con i propri aderenti (45%), la riattivazione dei volontari (37%) e la necessità di coinvolgere nuovi volontari (23%) dal momento che molti degli storici non potranno riprendere le proprie attività (13%).
Il mondo associativo si è dovuto confrontare anche con una crisi di governance interna che ha impattato sull’attività degli enti, ma prima ancora sulla natura partecipativa e democratica che dell’associazionismo è dimensione caratterizzante.
Per questa ragione, secondo una commissione interassociativa composta dalle grandi reti francesi aderenti a France Bénévolat (rete nazionale francese che si dedica all’orientamento e all’accoglienza dei volontari) al centro di questa crisi sistemica vi è un imperativo democratico. Nel documento “L’impegno volontario in tempi di crisi sanitaria: bilancio e apprendimenti”4 emerge come per molti enti il grande sforzo fatto per mantener vivo, anche a distanza, il funzionamento democratico che alimenta la dinamica associativa (consigli direttivi, assemblee, etc.), sia stato occasione per rileggere le proprie attività, ma soprattutto per rimettere al centro nella costruzione della dimensione collettiva e nella mobilitazione dei cittadini la libertà di associarsi.
Quale il coinvolgimento dei cittadini nel non profit
Oltre a dover ritessere le relazioni intra-associative, le organizzazioni si confrontano oggi con la necessità di rinsaldare i legami tra gli aderenti e con/tra i volontari che sono la loro forza vitale. Nei mesi appena trascorsi, molti volontari hanno dovuto interrompere le attività per diverse ragioni, altri cittadini si sono resi disponibili ad aiutare attraverso azioni di vicinato o rispondendo alle chiamate dei Comuni e delle associazioni, ma abbiamo assistito a uno squilibrio tra domanda e offerta di volontariato: a fronte della disponibilità di molti cittadini volenterosi, vi sono state poche occasioni di inclusione di nuovi volontari da parte del volontariato organizzato, anche laddove siano state attivate azioni in risposta all’emergenza Covid-19.
Non sono pochi i Comuni che, insieme alla Protezione Civile, hanno gestito direttamente i cittadini volenterosi. Un problema non solo italiano, tanto che l’analisi francese vi dedica un approfondimento e individua nella natura processuale del coinvolgimento di nuovi volontari, la ragione di questa impasse. Accogliere nuovi volontari significa infatti costruire un patto associativo che richiede conoscenza reciproca, adesione alla causa e costruzione delle condizioni per una relazione chiara e duratura, un processo poco compatibile con la situazione emergenziale e in continuo divenire cui le associazioni hanno dovuto confrontarsi. Per questa ragione, se da un lato si è confermata la grande capacità di mobilitare i volontari già attivi o le persone vicine, dall’altro il coinvolgimento di nuovi volontari è stato complicato e talvolta ingestibile. Secondo l’analisi effettuata oltralpe, uno dei temi sui quali è importante che il mondo associativo oggi si interroghi riguarda il mantenimento della sua funzione di aggregazione di tutti quei cittadini desiderosi di impegnarsi in attività di volontariato, in particolare coloro che in questi mesi hanno dimostrato disponibilità a rimboccarsi le maniche. Un interrogativo al quale il documento prodotto da France Bénévolat prova a dare risposta, individuando tre piste d’azione che facciano tesoro degli apprendimenti maturati in questi mesi e inneschino dei circuiti virtuosi:
- diversificare le modalità di coinvolgimento. La difficoltà di far fronte al turn over di volontari e in particolare alla sostituzione temporanea di coloro che per questioni anagrafiche o di salute non hanno potuto svolgere le attività, amplifica un dibattito da anni presente nel mondo associativo tradizionale, ovvero quello della flessibilità delle modalità di ingaggio dei volontari. Diversi studi hanno evidenziato come le motivazioni dei volontari, le loro disponibilità di tempo e modalità di mettersi a servizio si siano modificate negli anni. È quindi importante per il mondo associativo comprendere a fondo la nuova geografia dell’impegno volontario e costruire delle proposte di ingaggio diversificate, più vicine ai tempi e agli stili di vita delle persone. Per far fronte alle emergenze con proposte temporanee, ma soprattutto per catalizzare la voglia di agire e impegnarsi dei cittadini nelle diverse sfumature, che possa poi tradursi in un coinvolgimento più duraturo in associazione.
- rafforzare l’intermediazione. Ripensare le pratiche di coinvolgimento dei volontari è un impegno cui spesso le associazioni faticano a dedicare tempo e costanza perché concentrate sull’operatività. Può quindi essere utile un soggetto terzo che accompagni le organizzazioni in un processo di analisi e rilettura delle opportunità e delle modalità di ingaggio dei nuovi volontari per aumentare la loro capacità di essere attrattive, accoglienti e inclusive. Secondo l’analisi di France Bénévolat, le attività di intermediazione tra domanda e offerta di volontariato andrebbero potenziate in una prospettiva non solo di matching, ma soprattutto di facilitazione e accompagnamento. Per i Centri di Servizio per il volontariato questa potrebbe essere una pista da rafforzare nella fase di ripartenza post-covid.
- favorire lo scambio intergenerazionale nelle pratiche associative. Le misure sanitarie messe in campo dalle autorità per far fronte alla crisi e, in alcune zone, la scomparsa di una generazione di volontari che per anni ha tenuto in vita circoli e sedi associative, richiama una intensa riflessione sul passaggio di testimone e il ricambio generazionale. Un tema che da anni alimenta un dibattito sul coinvolgimento dei giovani nelle organizzazioni più tradizionali, ma che ora si impone con forza e urgenza. Secondo l’analisi francese, la grossa sfida del tessuto associativo post-covid sarà ritessere le relazioni e la coesione sociale e per questo sarà più che mai importante favorire pratiche di collaborazione intergenerazionale nelle organizzazioni e non alimentare l’opposizione tra nuove leve e volontari storici.
Una possibile strada potrebbe essere quella di rafforzare le pratiche di mentoring, affiancamento, corresponsabilità, condivisione di competenze tra generazioni per immaginare insieme un nuovo modo di interpretare e agire la propria funzione nei territori.
Rafforzare e accompagnare la cooperazione nei territori
Un altro aspetto che la crisi sanitaria ha messo sotto i riflettori è la centralità della cooperazione tra soggetti diversi nei territori per lo sviluppo di comunità solidali e cittadini attivi. Anche in Italia abbiamo visto verificarsi quanto evidenziato dall’indagine francese: i territori più resilienti sono stati quelli in cui si sono sperimentate maggiormente delle buone pratiche di cooperazione territoriale con il coinvolgimento delle associazioni. E sono state tanto più efficaci quanto più capaci di aggregare un ampio ventaglio di soggetti locali: comunità, amministrazioni, imprese. Senza lasciare fuori le iniziative spontanee nate dai cittadini e le solidarietà di vicinato.
Provando a tratteggiare delle priorità per la ripartenza, il documento francese sottolinea l’importanza di rafforzare e sviluppare azioni di animazione territoriale volte ad accompagnare il mondo associativo e gli altri attori del territorio a mettere a fattor comune e dare continuità a queste dinamiche cooperative. Una sfida che interroga anche i Centri di servizio nel loro ruolo di agenzie di sviluppo dei territori, e che ha spinto i sei CSV lombardi ad avviare nel mese di marzo un’indagine conoscitiva avente ad oggetto le nuove forme di aggregazione, ovvero quei gruppi di persone che hanno scelto negli ultimi 2/5 anni di avviare insieme un’azione per un fine comune, secondo modalità più o meno strutturate. L’indagine, di cui è ancora in corso la fase qualitativa, ha l’obiettivo di esplorare le motivazioni che hanno spinto le persone ad aggregarsi. La ricerca ha una duplice finalità:
- profilare in maniera più specifica le caratteristiche, il funzionamento delle forme di aggregazione contemporanee;
- elaborare una prima immagine del loro posizionamento rispetto al valore della solidarietà e del senso e significato che gli attribuiscono. Ma anche quanto queste realtà aggregative contemporanee sono luoghi partecipati e della partecipazione.
Dall’analisi dei dati raccolti durante la fase quantitativa, vediamo profilarsi forme di aggregazione composte da un massimo di 50 persone (72%) seguite da gruppi con meno di 10 membri (27%) prevalentemente nella fascia d’età 40-55. Alcune di loro hanno mantenuto una dimensione più informale, mentre altre hanno scelto di costituirsi formalmente in associazione. Tra chi ha scelto la dimensione più informale prevale un raggio d’azione più circoscritto e ancorato al territorio e attività in ambito ambientale, culturale, di coesione sociale. Nelle più strutturate il raggio territoriale è invece più ampio e le attività sono in prevalenza di natura sociale. I dati sembrano disconfermare la tesi secondo la quale gli oggetti attorno ai quali i nuovi gruppi si aggregano tendano sempre più verso dimensioni di solidarietà “corta” legata al benessere della cerchia più stretta delle persone. Tanto le realtà informali quanto le costituite si posizionano infatti attorno a ideali di solidarietà ampie, le prime maggiormente orientate alla cura dei luoghi e delle comunità, le seconde al miglioramento della qualità della vita delle persone e ai bisogni del territorio inteso nella sua accezione più organizzativo-formale che tangibile. Entrambe le tipologie dichiarano una forte apertura all’accoglienza delle diversità, anche se poche la agiscono con interventi specifici, e una forte propensione alla collaborazione con altri soggetti del territorio (80% tra i gruppi informali e 72% tra i già costituiti). Sembra quindi interessante provare ad interrogarci in questa fase di ripresa e impresa attorno ai nuovi significati dello stare insieme e del fare insieme.
Uno dei compiti dei Centri di servizio per il volontariato oggi può quindi essere quello di rinarrare l’azione e il rapporto tra le persone dell’atto della solidarietà per provare a rappresentare spunti per una nuova trama di partecipazione e di appartenenza, come luoghi in cui si possono ridefinire parti e pezzi della propria individualità e della propria socialità. In uno scenario complesso e incerto troviamo quindi fattori di speranza che risiedono prima di tutto nelle persone: disponibilità a rimboccarsi le maniche e cittadini che si mettono insieme non solo per finalità di mutuo aiuto, ma attorno a valori di solidarietà e coesione.
La sfida per il mondo associativo tradizionale oggi è quella di costruire opportunità perché le persone possano rendersi disponibili, assumersi responsabilità e far circolare energie e per questo è cruciale mettersi in un dialogo reciproco con le migliori forze del nostro Paese, nelle loro diverse forme, per costruire un lessico comune nonché un impegno sociale e civile teso a ricostruire la società post-pandemia. Con una visione però più alta, che non si limiti a voler riportare “tutto esattamente come prima”, ma ambisca ad alimentare una funzione essenziale dell’associazionismo: quella di traghettare aspirazioni e azioni individuali verso la dimensione collettiva del noi.
NOTE
*Del gruppo di ricerca CSV Lombardia sulle nuove forme di aggregazione
- Disponibili sul sito www.csvnet.it
- indagine realizzata da: Mouvement associatif, Réseau National des Maisons des Associations, in collaborazione con Direction de la Jeunesse, de l’Education populaire et de la Vie associative du Ministère de l’Education nationale, con il sostegno di Recherches&Solidarités, France Générosités e del Conseil National des Employeurs d’Avenir (vai alla pagina web)
- a questo link è disponibile la sintesi dell’intervento “Stare insieme a debita distanza: come riaprire i circoli anziani?”
Vdossier
articolo tratto da
“Rebus aggregazione. Vita associativa a distanza? I CSV soccorrono il volontariato anche grazie ai francesi”
Vdossier numero 1 2020
Analisi e riflessione. Discussione e dibattito su idee, proposte, giudizi, opinioni e commenti. Questa è la missione di Vdossier.