Volontari della porta accanto e gratuità a breve termine
Ricerche e studi sulle nuove tendenze del volontariato in tempo di crisi rivelano che è più difficile fare del bene quando c’è la recessione, anche se tutti hanno bisogno di buoni vicini
di Elisabetta Bianchetti
Il contributo specifico del volontariato, quale che sia il campo di attività, risiede nel coniugare la tutela dei diritti con la cura dei legami collettivi e la rigenerazione del capitale sociale entro un orizzonte condiviso di cittadinanza partecipata dal basso. Le mansioni di advocacy in capo al volontariato possono assumere una varietà di forme: dalle campagne di sensibilizzazione alla raccolta di fondi, fino al lobbying, dalle azioni di protesta ad altre forme di mobilitazione pubblica. Secondo il sociologo e presidente di Fondaca, Giovanni Moro, ciò che accomuna queste varie forme di volontariato è l’orientamento a esercitare un’influenza sui «sistemi e le istituzioni, economiche e sociali, con riferimento alle politiche pubbliche e all’allocazione di risorse che riguardano direttamente la vita delle persone».
Al tempo stesso, servizio e advocacy rimandano ad attività prevalenti, ma certo non mutuamente esclusive. La partecipazione pro-sociale, come già rilevato da Iref nel rapporto del 2002 e da Renato Frisanco (ricercatore Fondazione Roma terzo Settore), ha subito un orientamento verso un volontariato praticato su base individuale piuttosto che nell’ambito delle organizzazioni. Non a caso, nel ripercorrere la tracciabilità delle forme e dei modi di partecipazione degli italiani negli ultimi venti anni si rivela una fase nuova, quella del “volontariato personale”, ovvero dell’impegno praticato su base individuale o nei luoghi della vita quotidiana e, quindi, «dell’associazionismo sussidiario che affianca le persone come opportunità e strumento di impegno civico, accanto ad altri canali, ad altri luoghi.
Un volontariato che si realizza all’ombra, o a fianco, di quello più organizzato, ampiamente riconosciuto e istituzionalizzato. È un fenomeno che si traduce in donazioni di tempo e di denaro, nei gruppi informali, senza troppi condizionamenti e troppi limiti, in uno stile di vita sobrio, nel consumo critico e responsabile, nella sensibilità verso l’offerta del mercato equo e solidale, nel turismo responsabile, nell’impegno sui grandi temi della pace e dello sviluppo sostenibile. È un volontariato, stando alla descrizione del sociologo Ilvo Diamanti, legato al contesto circoscritto di vita del soggetto (il volontario della “porta accanto”, della parrocchia, del quartiere), «come forma di azione più che di organizzazione. Come forma di espressione più che di appartenenza […], un anello che lega la duplice dimensione: dell’impegno civico e dell’autorealizzazione». Un volontariato speso per sé e con gli altri. Un volontariato limitato in termini di tempo e che si svolge parallelamente al diffondersi di stili e di pratiche segnate da altruismo e responsabilità. Ed è talvolta associato ad un alto grado di impegno militante che non viene diluito nel frammento solidale.
Come cambia l’arruolamento nel volontariato
Il tempo corre veloce e il volontariato anche. Così come cambiano ruoli di genere, natura delle famiglie, modelli di matrimonio, schieramenti politici, cambia anche il modo di dedicare il proprio tempo agli altri o alla comunità. Come le altre istituzioni sociali anche il volontariato è influenzato da quegli stessi cambiamenti culturali. Dopotutto il lavoro di oggi è diverso da quello di venti anni fa. Adesso c’è il part-time, il flex-time, il job-share, l’intermittente, il telelavoro, lo stagionale, solo per citarne alcuni. E coloro che sperimentano flessibilità sul posto di lavoro si aspettano flessibilità anche nel loro coinvolgimento sociale.
Ma come la crisi economica di questi anni ha mutato la “chiamata” al volontariato? Per il sociologo Tommaso Vitale, «noi possiamo delineare due traiettorie di tendenza. La prima, è un germe positivo verso il mondo del mutualismo che si sta sviluppando e che è molto differente rispetto alla stagione altruistica degli anni Ottanta e Novanta. Quello odierno, infatti, è un mutualismo, nelle forme, più vicino a quello di inizio Novecento ed è rilevante perché sposa due caratteristiche: una è la socialità, l’altra la messa in comune del proprio bisogno. Una messa in comune che muove da un interesse personale e diventa una leva di mutualismo, quindi di solidarietà aperta. Un esempio sono i gruppi di che si uniscono – i Gas o gruppi solidali – per acquistare beni e servizi, diminuendo così il costo dei consumi. La seconda tendenza è di progressiva dismissione delle attenzioni del volontariato nei confronti degli ultimi, delle persone più svantaggiate, dei poveri e dei bisognosi. Le attenzioni del volontariato si calamitano invece verso figure che sono considerate più meritevoli di aiuto, come malati, anziani o persone sole. Così come si assiste a una piccola riduzione dell’impegno altruistico nei confronti delle situazioni di disagio estremo».
La tendenza presente e futura è quindi anche quella di un volontariato a breve termine, come sottolinea l’americana Nancy Macduff, consulente ed studiosa di management del non profit: «Le crescenti esigenze di tempo delle persone significano meno tempo per praticare il volontariato. C’è, inoltre, una convinzione generale per cui gli individui sono alla ricerca di una maggiore libertà di associazione con facili opzioni di entrata e uscita. Spesso, la risposta più frequente alla richiesta di impegno, è quella relativa alla mancanza di tempo. Ma queste risposte riflettono davvero i motivi delle persone, o sono semplicemente un modo conveniente o diplomatico per spiegare la mancanza di volontà nel mantenere un impegno continuativo?».
Quindi è la maggiore offerta di opportunità di volontariato di corto periodo una causa, oppure una risposta, alle mutevoli preferenze dei volontari? È quello che si sono chiesti Mike Niederpruem e Paul Salipante della Case Western Reserve University di Cleveland (Stati Uniti) in un recente studio sulle tendenze di volontariato a breve termine. Un dossier da cui emerge che il volontariato si caratterizza come una forma di “azione sociale” guidata dai significati che i volontari assegnano alle rispettive esperienze. «Un processo dinamico e continuo in cui creiamo e manteniamo la nostra realtà collettiva attraverso le interazioni sociali con gli altri, applicando ed interpretando i significati soggettivi delle nostre esperienze comuni. Ma, oltre alla costruzione sociale, dobbiamo anche prendere in considerazione lo sviluppo sociale, l’apprendimento sociale, la teoria dell’identità sociale e il concetto di comunità di pratiche, nel tentativo di interpretare i nostri risultati e migliorare la nostra comprensione delle esperienze di volontariato nelle associazioni». Dopotutto gli individui differenziano i loro ruoli di volontariato in base alla loro identità sociale. Questa appartenenza guida le credenze di un individuo e soprattutto i suoi comportamenti, specie quando interagisce con gli altri nello stesso gruppo sociale. Non a caso la teoria dell’identità sociale dimostra che i singoli volontari ad alto contenuto organizzativo sono più impegnati, dimostrano comportamenti più prosociali e anche una maggiore soddisfazione organizzativa, senza differenze significative rispetto all’età o al genere. Un’altra spiegazione sull’aumento delle attività di volontariato a breve termine è che il vissuto esperienziale è diventato meno significativo per il volontario, derivante in parte anche dalle pratiche che producono l’individualizzazione nella nostra società.
Per i sociologi Lesley Hustinx e Frans Lammertyn, il volontariato è mutato in seguito ai grandi cambiamenti sociali: «Forti legami sociali, quali associazioni religiose e civili, hanno sostenuto e promosso una forma di volontariato che non esiste più, perché non c’è più l’accento sulla tendenza verso l’azione collettiva». Inoltre suggeriscono che il cambiamento della società porta a un volontariato individualizzato piuttosto che collettivo. «Al giorno d’oggi, la volontà di partecipare al volontariato dipende sempre più da interessi personali che da esigenze etiche, o dal senso del dovere verso la propria comunità. Motivati da una ricerca di auto-realizzazione, i volontari chiedono grande libertà di scelta e assegnazioni limitate con risultati tangibili. E le attività di volontariato devono essere spettacolari e divertenti per mantenere i volontari coinvolti. Questo volontariato non partecipa per il gusto di appartenere a organizzazioni, ma è più pragmaticamente focalizzato sui servizi offerti o le attività intraprese».
Fare del bene quando i tempi sono cattivi
Lo studio “Doing Good When Times Are Bad: Volunteering Behaviour in Economic Hard Times” (Chaeyoon Lim and James Laurence in British Journal of Sociology, online first 29th April, 2015) ha analizzato se c’è un aumento o una diminuzione dell’impegno civile nei periodi di crisi. In particolare, se le persone sono più o meno disposte a donare volontariamente il loro tempo e le loro energie per aiutare gli altri in tempi economicamente difficili. La ricerca svolta nel Regno Unito ha esaminato il periodo pre e post recessione per verificare come la crisi ha influenzato il tessuto sociale della comunità e come ha colpito sia il volontariato formale sia quello informale. In Inghilterra e Galles subito dopo la crisi si è osservato un calo sia del volontariato organizzato e in misura maggiore di quello non organizzato. D’altra parte, la domanda di aiuto informale può declinare in tempi duri, così come le persone possono essere riluttanti a chiedere ad amici e vicini di casa dei favori, comprendendo che ognuno sta vivendo un periodo difficile. Le associazioni civiche invece hanno tenuto, nonostante abbiano registrato molte difficoltà nel garantire i propri servizi in seguito a un considerevole aumento di richieste di aiuto.
Sotto una maggiore pressione su come spendere le risorse limitate, le persone possono essere più propense a mantenere il loro impegno al volontariato formale, mentre diminuisce il loro coinvolgimento in attività non organizzate. Gli individui che partecipano informalmente hanno meno risorse e competenze organizzative rispetto ai volontari formali e, quindi, più probabilità di ritirarsi dal volontariato a favore delle loro famiglie. La relativa stabilità del volontariato organizzato sottolinea l’importanza delle associazioni come pilastro di una comunità stabile. I comportamenti spontanei e casuali da “buon Samaritano” possono rafforzare il tessuto sociale e arricchiscono la vita civile della comunità, ma possono scarseggiare quando e dove sono più necessari. Invece è “l’altruismo istituzionalizzato”, coordinato da associazioni civiche in grado di fornire servizi più affidabili, a supportare la comunità, soprattutto a fronte di una congiuntura economica problematica.
Questo non è certamente una novità. I sociologi, da tempo, sottolineato il ruolo delle associazioni di volontariato come una fonte di capacità collettiva delle comunità locali. Una prospettiva che fa luce sul motivo per cui le attività di volontariato possono diminuire in una fase di recessione, soprattutto nelle comunità svantaggiate contraddistinte da una fiducia sociale molto più bassa rispetto ad altre. Le attività di volontariato sono fondamentalmente azioni sociali che coinvolgono più persone. E il volontariato tende ad essere più comune e stabile nelle comunità contraddistinte da una forte norma culturale di fiducia e di impegno civico e con una fitta rete di associazioni in grado di fornire molte opportunità di coinvolgimento. Le comunità più svantaggiate invece hanno maggiori difficoltà nel sostenere i loro livelli (già bassi) di attività in tempi di crisi, soprattutto quando le risorse esterne sono scarse e le persone tendono a concentrarsi sulle proprie difficoltà piuttosto che offrire, o cercare aiuto, nel volontariato. Per aiutare gli altri è necessario più di un buon cuore. Le persone sono più propense ad aiutare gli altri quando c’è una forte cultura di fiducia e reciprocità, e anche quando ricevono richieste personali. Quando le persone sentono che non possono contare sugli altri per un aiuto, essi stessi diventano riluttanti a chiederlo. La conclusione dello studio britannico suggerisce che la chiave per una società civile vivace e duratura può risiedere nel coltivare dense reti di organizzazioni civiche, un compito che può rivelarsi più difficile da raggiungere, soprattutto nel breve periodo.
Tutti hanno bisogno di buoni vicini
Grazie alla recessione, siamo più disincantati rispetto al concetto di felicità legato alla ricchezza, stiamo riscoprendo le gioie del vicinato vecchio stile. «L’uomo potrebbe essere un animale sociale, invece è sempre alla ricerca di come rendere il mondo un luogo sempre più ineguale e meno felice», si legge nello studio a livello europeo dei professori Andrew Clark e Claudia Senik della Paris School of Economics. Collezionare trionfi alla moda come fosse l’unica cosa che conta appartiene ormai al secolo scorso. Secondo un articolo pubblicato sul quotidiano “The Daily Telegraph”, «grazie alla recessione stiamo riscoprendo le gioie della vicinato vecchio stile e la weconomy, cioè lo scambio di libri, ricette, articoli per la casa. Tutto rigorosamente gratuito». Un esempio è la piattaforma online Freecycle, fondata a Tucson, in Arizona (Usa), e poi diffusasi in tutto mondo. La premessa è semplice: se avete un qualsiasi tipo di merce che volete eliminare registrate un annuncio sul sito web (www.freecycle.org). Poi chi è interessato la potrà ritirare da voi senza nulla in cambio. In base a queste dinamiche il fenomeno si è diffuso, soprattutto tra persone che vivono nello stesso territorio dando vita a nuove relazioni. La weconomy non si fonda solo sui bisogni personali ma anche su quelli della comunità. Un pioniere di questa nuova tendenza è Richard Reynolds, impiegato di giorno e giardiniere di notte. Dopo essersi trasferito a Londra dalla campagna del Devon è rimasto costernato alla vista delle aiuole trascurate del suo quartiere. Così si è rivolto ai “guerrilla gardener” piantando fiori e sementi ovunque ce n’era bisogno e ha creato il sito www.guerrillagardening.org esortando anche gli altri londinesi a «combattere la sporcizia con forche e fiori». Qualcosa del genere accade anche agli estremi del ciclo economico: o le persone hanno la possibilità economica per avere proprietà con giardini, oppure hanno del tempo libero per prendersi cura dei beni comuni. «Ora conosco la maggior parte dei miei vicini – afferma Richard – e ho persino incontrato la mia ragazza». Chi non ha il talento di coltivare la natura può rivolgersi a Yarnbombing che punta a «migliorare il paesaggio urbano un poco alla volta con i lavori a maglia». Questa idea è iniziata in Canada nel 2005, dove gli appassionati “tricottatori” coprono alberi, lampioni e panchine con creazioni di lana colorati (i migliori risultati sono pubblicati su www.yarnbombing.com). Sia che sia una maglia per un albero, o lasciare un libro su una panchina per un passante (vedi www.bookcrossing.com), curare le aiuole del quartiere o cuocere una torta per il vostro vicino di casa in cambio di fiori, non c’è dubbio: avere meno soldi può farci sentire più ricchi.
L’articolo è tratto da Vdossier numero 1 anno 2015 “Solidarietà made in Italy”