Welfare più locale e multi-attore con il volontariato protagonista. Una riforma in cinque mosse
Innovare e includere sono le parole d’ordine della studiosa di politiche sociali Maino, che spiega come il non profit debba trasformarsi per essere decisivo nell’aiuto di comunità e territori
di Franca Maino*
Dalla metà degli anni Duemila, a causa delle profonde trasformazioni demografiche, economiche e sociali, il sistema di protezione sociale del nostro Paese ha progressivamente ridotto la sua efficacia nel rispondere ai vecchi e nuovi bisogni sociali. Si pensi alla non autosufficienza, alla precarietà lavorativa, al mancato sviluppo o all’obsolescenza del capitale umano, all’esclusione sociale e al rischio povertà in continua crescita (soprattutto tra i minori) e alle difficoltà di conciliare carichi lavorativi e familiari. Bisogni profondamente connessi alle principali tendenze demografiche che vedono una riduzione dei nuovi nati e un progressivo aumento della popolazione anziana, con conseguenti necessità legate all’aumento dell’età (soprattutto sul fronte socio-sanitario).
Inoltre, i cambiamenti sociali e culturali che hanno interessato il nostro Paese hanno segnato fortemente la struttura familiare – per esempio con l’aumento di separazioni, divorzi e famiglie monogenitoriali – influenzandone anche le dinamiche di condivisione e distribuzione dei carichi domestici e di cura, alla luce, in particolare, del più ampio coinvolgimento delle donne nel mercato del lavoro retribuito e della ridotta disponibilità a offrire gratuitamente tutto il lavoro domestico e di cura. Queste sfide hanno contribuito anche a ridurre le capacità di tenuta del cosiddetto “welfare-fai-da-te”, che da sempre rappresenta una colonna portante del welfare state italiano.
La pandemia? Uno stress test per le politiche sociali
Nonostante alcuni tentativi di “ricalibratura” della spesa sociale (Ferrera 2019), in parte connessi ai sempre più stringenti vincoli di bilancio, l’Italia ha continuato così a essere caratterizzata da un sistema di welfare disfunzionale, messo sotto ulteriore pressione dalla pandemia di Covid-19 che, da febbraio, ha innescato una crisi sanitaria ben presto trasformatasi in crisi economica e sociale. Il Coronavirus si sta infatti rivelando un vero e proprio “stress test” non solo per la sopravvivenza e la tenuta esistenziale di individui e famiglie – in molti casi messi a dura prova sul piano sanitario, psicologico, economico e sociale – ma anche sulla capacità di resistenza di sistemi complessi, improvvisamente costretti ad agire in un contesto radicalmente mutato. Come evidenziato da Razetti (2020), in questo senso la pandemia costituisce un esempio di quello che nell’analisi delle politiche pubbliche è chiamato “focusing event”, «un evento che – per la sua natura dannosa, inaspettata e improvvisa – forza l’opinione pubblica e i decisori politici a inserire nell’agenda pubblica e istituzionale temi che non necessariamente vi sarebbero entrati o che almeno non lo avrebbero fatto con la stessa forza, la stessa visibilità e la stessa rapidità». Si tratta di un fenomeno di grande rilevanza sotto il profilo politicoistituzionale e sociale che sta mettendo ancora di più in evidenza le tante criticità del welfare italiano: dalle inadeguate politiche del lavoro e di sostegno al reddito alle misure di contrasto alla povertà, dalla carenza delle misure a sostegno delle famiglie e dei minori all’inefficacia degli interventi rivolti alle persone anziane.
Le crisi? Occasioni per cambiamenti della policy
Le crisi, quindi, in quanto «eventi focalizzanti» possono concorrere ad aprire finestre di opportunità per introdurre cambiamenti di policy. È tuttavia necessario essere consapevoli che tali cambiamenti non sono automatici e scontati: le finestre possono «richiudersi» con altrettanta rapidità con cui si sono aperte e non generare l’opportunità di sperimentare misure e interventi più efficaci e adeguati alle nuove sfide. I cambiamenti possono poi essere promossi e realizzati a più livelli, dal nazionale al territoriale. Soffermandoci sui sistemi di protezione sociale locali, sappiamo che l’incidenza dei territori è molto bassa in termini di spesa complessiva per il welfare. La spesa sociale dei Comuni costituisce una frazione modesta della spesa pubblica destinata alle politiche sociali: vale circa 7,1 miliardi di euro, pari allo 0,4% del PIL (dati riferiti al 2016), in media 116 euro pro capite con forti differenziazioni territoriali (dai 22 in Calabria ai 516 a Bolzano, sempre nel 2016). Una spesa diretta prevalentemente a famiglie e minori (38,8%), persone con disabilità (25,5%), anziani (17,4%) con tassi di copertura generalmente molto contenuti. Tuttavia – come ha mostrato anche l’emergenza – il ruolo dei territori e delle comunità locali può essere potenzialmente alto in termini di attivazione di progettualità e collaborazioni multi-attore capaci di mobilitare risorse – economiche, ideative, organizzative – aggiuntive e/o di rendere più efficiente l’utilizzo di quelle già esistenti (in una logica aggregativa e inclusiva) proprio nelle aree di bisogno attualmente più scoperte. Quella territoriale sembra essere anche una dimensione adatta per sperimentare innovazioni capaci di intercettare i bisogni attualmente scarsamente tutelati (Maino e Razetti 2019; Maino 2020).
Il cosiddetto “welfare territoriale” non si limita a quanto i Comuni possono offrire con le (poche) risorse a disposizione. Il territorio non è solo uno spazio fisico: si è trasformato (o si può trasformare) sempre più in un eco-sistema socio-economico nel quale le amministrazioni pubbliche e attori privati, profit e non profit, possono diventare attori-chiave: da un lato, nel promuovere e/o facilitare processi capaci di aggregare, mettere a sistema e liberare risorse presenti (dalle risorse oggi spese out-of-pocket al volontariato, dalle risorse formali e quelle Stato sociale da rifare informali) e, dall’altro, nell’assicurare che i processi attivati seguano logiche inclusive, orientate all’innovazione e all’investimento sociale (Maino e Ferrera 2019).
Duplice sfida per un nuovo ruolo del volontariato
È in questo contesto, tra la crisi del 2008 e quella pandemica in corso, che si è fatto strada e rafforzato il “secondo welfare”, quell’insieme di interventi e progetti a finanziamento privato avviati “dal basso” da una pluralità di attori che si propongono di mettere in circolo risorse aggiuntive per contrastare gli effetti legati ai tagli della spesa sociale e per contribuire alla sostenibilità del sistema di protezione. Come evidenziato nei Rapporti biennali sul secondo welfare (cfr. in particolare Maino e Ferrera 2019), nel corso dell’ultimo decennio “nuovi” soggetti – provenienti dalla sfera del mercato, delle associazioni intermedie, del Terzo settore (dalle associazioni di volontariato ai soggetti della cooperazione sociale), della famiglia e delle reti informali – hanno iniziato ad affiancare l’attore pubblico nella sperimentazione, progettazione e attivazione di interventi di welfare in un’ottica sussidiaria. Il protagonismo di questi soggetti tradizionalmente esclusi o ai margini dell’arena del welfare – seppur non esente da criticità e rischi – ha quindi favorito profondi mutamenti e proposte di rinnovamento per quel che concerne gli interventi di natura sociale.
In questa “nuova normalità”, a sua volta sfidata dalla seconda ondata pandemica e provando a consolidare gli apprendimenti acquisiti, quale ruolo possiamo immaginare per il volontariato rispetto ad un welfare in crisi ma anche in trasformazione? Quali apprendimenti sono scaturiti dalla pandemia da Sars-Cov-2 per il mondo del volontariato? Guardando indietro ai mesi di lockdown e alla fase 2 da più parti sono state evidenziate le risorse e le azioni messe in campo dal volontariato. Tra le tante analisi si segnala il Rapporto “Il volontariato e la pandemia. Pratiche, idee, propositi dei Centri di servizio a partire dalle lezioni apprese durante l’emergenza Covid-19” scaturito da un’indagine promossa proprio da CSVNet nelle settimane del lockdown (cfr. anche De Gregorio 2020). Il volontariato ha complessivamente dato prova di essere una risorsa preziosa e strategica anche in situazioni di emergenza, capace sia di reagire usando strumenti e canali nuovi e innovativi sia in grado di fornire servizi essenziali, calibrati sui bisogni emergenziali.
A fare la differenza sono stati il bagaglio di esperienze pregresse e la struttura organizzativa dei numerosi CSV territoriali unite alla disponibilità ad aprirsi all’innovazione e alla flessibilità, la centralità delle persone e delle reti multi-attore e, ultime ma non meno importanti, le risorse economiche, tecnologiche e comunicative messe in campo nelle situazioni più difficili.
È proprio facendo leva su queste risorse che il volontariato è chiamato oggi ad una duplice sfida: da un lato, non sottrarsi alle richieste (comprese quelle contingenti e quotidiane) che provengono dai territori continuando ad essere reattivo e innovativo e, dall’altro, cogliere anch’esso l’opportunità di avviare un processo profondo di rinnovamento che lo porti a rafforzarsi e a fare i conti con le criticità che lo contraddistinguono aprendosi all’innovazione sia di prodotto (gli aiuti forniti e le iniziative messe in campo) sia di processo (le relazioni con gli altri soggetti pubblici e non, tra privato profit e non profit).
Figura 1 – Welfare territoriale e volontariato: un legame da alimentare e rendere strategico
Come mostra la figura 1, il legame tra welfare territoriale e volontariato può e deve essere alimentato e reso strategico anche guardando alla cornice offerta dall’Agenda 2030 dell’ONU e ai 17 Obiettivi di sviluppo sostenibile. In un rinnovato rapporto tra l’eco-sistema del volontariato e la pluralità di attori locali la sfida è anche per il volontariato quella di concorrere alla promozione dello sviluppo sociale del territorio e al contrasto delle crescenti diseguaglianze economiche e sociali contribuendo all’attivazione delle comunità locali e insieme a creare le condizioni per l’inclusione di soggetti fragili e poco o per nulla tutelati.
Le cinque mosse decisive per il volontariato
Più nello specifico – guardando ad un sistema di welfare che dalla crisi economico-finanziaria del 2008 si è trovato catapultato nella recente crisi pandemica senza avere avuto il tempo di consolidare una serie di piccoli e grandi risultati e di fare sistema tra le esperienze più innovative implementate nell’ultimo quinquennio – è possibile individuare almeno cinque direttrici all’interno delle quali anche il volontariato è chiamato a dare un contributo sia ideativo sia operativo.
Il volontariato può contribuire alla comprensione dei bisogni emergenti e alla promozione di misure innovative per soggetti non tutelati per realizzare un welfare che sia sempre più territoriale e inclusivo. Dovrebbe (ulteriormente) aprirsi a collaborazioni con il mondo della cooperazione sociale e con gli enti del Terzo settore, con soggetti pubblici e altre organizzazioni private e con il mondo produttivo per favorire nuove connessioni e reti multi-attore. Il volontario è chiamato anche ad essere complementare all’incontro tra domanda e offerta di servizi e alla professionalizzazione delle competenze per rafforzare il cosiddetto terziario sociale oggi ancora debole in Italia.
Volontari e associazioni di volontariato possono anche contribuire ad aggregare la domanda di servizi per alimentare un approccio che colga le interdipendenze tra i bisogni di uno specifico territorio e generi risposte di tipo aggregativo. Altrettanto importante è poi creare connessioni tra i fornitori di servizi favorendone la co-produzione per individuare piste possibili di integrazione tra settori di intervento e prestazioni sfruttando il potenziale delle piattaforme digitali. In altre parole, attraverso il coinvolgimento di volontari, associazioni e reti di volontariato, pratiche e interventi possono generare esternalità sociali positive per il territorio e le comunità connotando di nuove caratteristiche il welfare del presente e del futuro: un’attenzione specifica all’innovazione sociale e a processi di confronto e, possibilmente, di co-progettazione e co-produzione delle azioni di welfare dentro reti multi stakeholder ancorate territorialmente e intenzionate a rimettere le persone e i loro bisogni al centro.
*Università degli Studi di Milano e Percorsi di secondo welfare
NOTE
CSVnet (2020). Il volontariato e la pandemia
De Gregorio O. (2020). Il volontariato e la pandemia, online il report di CSVnet. Percorsi di secondo welfare, 2 ottobre 2020
Ferrera M. (a cura di) (2019). Le politiche sociali. Il Mulino
Maino F. (2020). Welfare aziendale e Terzo Settore: opportunità (anche) in situazioni emergenziali? In “Solidea. Rivista. Lavoro, mutualismo e comunità”, anno X, n. 1, pp. 12-15
Maino F. e Ferrera M. (a cura di) (2019). Nuove alleanze per un welfare che cambia. Quarto Rapporto sul secondo welfare in Italia 2019. Giappichelli
Maino F. e Razetti F. (2019). Fare rete per fare welfare. Dalle aziende ai territori: strumenti, attori, processi. Giappichelli
Razetti F. (2020). Il Coronavirus e i nervi scoperti del welfare italiano. Percorsi di secondo welfare, 20
Vdossier
articolo tratto da
“Stato sociale da rifare. Welfare più locale e multi-attore con il volontariato protagonista. Una riforma in cinque mosse
Vdossier numero 2 2020
Analisi e riflessione. Discussione e dibattito su idee, proposte, giudizi, opinioni e commenti. Questa è la missione di Vdossier.