Il lessico della riforma? Coglie un cambiamento in atto
Con quali occhi il giornalismo oggi sta di fronte al mondo del volontariato? A questa domanda risponde Alessia Maccaferri, giornalista de Il Sole 24 ore che su Nova24 si occupa di terzo settore e innovazione sociale e che ha parlato all’interno di Glocal, festival del giornalismo digitale, in un incontro volto a mettere l’accento su riforma del terzo settore e nuovo lessico. Perché insieme alle tante novità di carattere burocratico e normativo, la riforma ci dice che ci sono parole nuove, ma anche parole che vengono mandate in pensione. E dentro al nuovo modo di definire il terzo settore si coglie anche il cambiamento in atto.
Come oggi il giornalismo parla di terzo settore?
«Oggi ci sono sicuramente alcuni stereotipi nel modo in cui il giornalismo parla di terzo settore. Il primo è quello di pensare che il terzo settore sia quello che si occupa del disagio: in realtà il terzo settore è a tutti gli effetti un soggetto che si occupa della crescita sociale ed economica del Paese e questo è un fraintendimento sul quale la riforma fa luce. Un secondo aspetto è quello legato alla cronaca e al modo in cui i mass media parlano di volontariato. Spesso lo si fa nel caso in cui ci sono scandali – si pensi ad esempio a mafia capitale – oppure quando ci sono criticità, come nel caso delle Ong. Non voglio dire che questo non sia un criterio, ma non è l’unico».
Quali sono allora lo sguardo e l’attenzione da porre?
«In realtà oggi il terzo settore è uno dei canali attraverso cui sta avvenendo un grande fenomeno di innovazione sociale che interseca la sharing economy, il mondo dei makers, la possibilità di creare un welfare generativo. Si tratta di un mondo che sta contaminando e si sta facendo contaminare e che può essere veramente essere uno dei propulsori del nostro paese»