Storie – Officina Casona e l’algoritmo di una start-up a vocazione sociale
Da Aps a cooperativa sociale che studia da impresa sociale: ecco il percorso – intrapreso da 4 ragazzi oggi trentenni – che ha mantenuto la coerenza con gli ideali di sostenibilità, accoglienza, aggregazione e incontro, ma li ha saputi declinare dentro una realtà imprenditoriale.
All’inizio c’era un gruppo di giovani poco più che ventenni con il pallino dell’aggregazione e dell’integrazione, oggi c’è un’impresa che produce beni e servizi e dà lavoro a 10 persone. Ma attenzione: la storia che sta dietro al marchio registrato “Parallelo prodotti da scappati di casa” (LINK), non appartiene al genere favola; il lieto fine si è costruito sulle stesse basi su cui si regge qualsiasi impresa di successo: business plan, ricorso al credito con la valutazione dello Sroi (ritorno sociale sull’investimento), strategie di marketing e propensione al rischio.
Le imprese come Officina Casona SCS, detentrice del marchio “Parallelo”, sono definite start-up a vocazione sociale. Qui, tanto per cominciare, al posto del garage da smanettoni, c’è un laboratorio dietro alle vetrine di un bene confiscato alla mafia – vetrine trasparenti per annullare un passato di mafia e corruzione. Siamo in via Montello 18 a Castellanza, baricentro tra Varese e Milano, provincie ricche di imprese con le quali equamente confina.
L’algoritmo ha un duplice volto: c’è quello che genera i profitti per garantire gli stipendi e si divide tra le attività di sartoria, legatoria, ciclo-officina e falegnameria; c’è quello che genera impatto sociale fatto di economia circolare, accoglienza ed opportunità per persone che arrivano da altri Paesi ( gli scappati di casa), ma anche volontariato, laboratori aperti a scuole e cittadini.
Da Aps a Cooperativa sociale: la nascita dell’algoritmo
A raccontare la storia è Michele Costalonga, trent’anni, una laurea in architettura, un impiego nel profit alle spalle e tanta formazione per diventare imprenditore, anche grazie a un corso di Camera di Commercio dedicato proprio alle start-up e finanziato da Garanzia Giovani. «All’inizio, circa sei anni fa, Officina Casona è nata come associazione di promozione sociale, con l’idea di fare attività di aggregazione e inclusione nel contesto del sistema di accoglienza delle persone richiedenti asilo. Il nostro scopo era di creare occasioni di sensibilizzazione, ma anche fare eventi di aggregazione attraverso laboratori di cucina e artigianato: avevamo già in mente che questo era l’ambito che ci interessava. I nostri laboratori coinvolgevano i rifugiati in attesa del permesso di soggiorno in attività manuali che consentivano loro di stare con altre parsone, ma anche di apprendere competenze». Ecco che l’algoritmo prendeva la forma di qualcosa che tiene dentro valori e business.
«Questa palestra ha permesso di conoscere ed entrare in contatto con tutta la rete territoriale, fatta di Cooperative e Fondazioni, che si occupava di richiedenti asilo e di costruire la rete di contatti per fare il primo salto». Nel giro di un paio di anni si crea un rapporto di fiducia speso per diventare Cooperativa Sociale di tipo A con l’obiettivo di fare formazione nell’ambito del sistema dell’accoglienza. «Abbiamo cominciato ad attivare le convenzioni per fare formazione alle persone arrivare. – continua Michele -. Avevamo percorsi di 6 mesi per una dozzina di persone divise in percorsi di legatoria, falegnameria, ceramica e ciclo officina: chi passava da noi poi trovava un lavoro». Accanto alle lezioni “pratiche”, c’era poi tutti il percorso di apprendimento della lingua e di inserimento nella società con il supporto nel cercare casa e nella consapevolezza dei propri diritti.
Prodotti, servizi, mercato e valori
Lo scenario cambia, circa tre anni fa, quando il panorama di riferimento in tema di accoglienza viene smantellato dalla riforma introdotta dall’allora ministro degli interni, Matteo Salvini. «Per noi è stato un momento di cambiamento inevitabile – dice Michele -, ma che avevamo nel Dna: fare in modo che i prodotti dei nostri laboratori di formazione andassero sul mercato: già prima i prodotti finali erano venduti, per ricavare borse di studio finali per i nostri allievi, ma ora si trattava di diventare a tutti gli effetti una impresa che stava sul mercato con prodotti e servizi». Così a fine 2018 la ragione sociale cambia ancora: da Cooperativa sociale di tipo A a Cooperativa sociale di tipo B. «Da quel momento abbiamo detto no a bandi, finanziamenti, raccolte fondi e abbiamo cominciato a ragionare in termini di prodotti e servizi da vendere, business plan, rete di vendita on line e off line, negozio fisico e virtuale». Accanto a Michele da sempre ci sono altri tre soci tra cui Francesca Zaupa, compagna di vita oltre che di impresa: lei, con una laurea in mediazione linguistica, un master in cooperazione internazionale allo sviluppo, oltre uno in imprenditoria sociale uno in marketing digitale, si è rimessa sui libri e ha frequentato un corso in Università Cattolica con Altis (Alta Scuola Impresa e Società).
Il resto è storia recente: la start-up entra oggi nel suo terzo anno di vita – dopo aver attraversato l’anno della pandemia – con 7 soci, 10 dipendenti assunti a tempo indeterminato, tra cui 2 persone con svantaggio sociale e una con disabilità psichica, due figure di tutor che fanno anche da mediatori culturali e l’avvio ogni anno di 2 o 3 tirocini formativi per migranti e non. Fuori e dentro la vetrina due mondi che si incontrano: dai piccoli clienti che hanno una bici da riparare ad una continua relazione con il territorio fatta di incontri e scambi. «Aver cominciato da una associazione di promozione sociale – conclude Michele – è stato un ottimo esercizio per diventare imprenditore».