Il Gabbiano a Tirano: una comunità che cura
A Tirano un ex carcere dismesso è diventato una comunità terapeutica per persone con problemi di tossicodipendenza ed una casa alloggio ad alta intensità sanitaria per donne e uomini malati di AIDS, e un piccolo tribunale di provincia dismesso è oggi uno SPRAR per i profughi.
Strano ma vero, due luoghi emblematici della statualità, il primo del “sorvegliare e punire” che diventa “curare per includere” e il secondo del giudicare che si fa luogo per accogliere.
È stato un processo lungo di confronto tra comunità di cura e comunità locale ciò che appare strano ma vero.
Lo racconta Aldo Bonomi Su Il Sole 24 ore e Vita (qui il testo integrale di cui riportiamo di seguito alcuni estratti). Al centro l’associazione Il Gabbiano e il percorso fatto negli ultimi 30 anni.
A Tirano nel 1994, in piazza della Basilica, luogo di culto mariano lì sul confine con l’Europa della riforma protestante, l’ordine religioso dei Servi di Maria affidò una parte del convento in comodato d’uso gratuito alla comunità di recupero Il Gabbiano. Che portò nella piazza del borgo figure interroganti della “società dello scarto” per dirla con Bauman in sociologese, tema spesso richiamato da Papa Francesco. Non senza problemi con la comunità locale che con petizioni e raccolte di firme tendeva a rinserrarsi, a farsi “comunità del rancore”. Mediatore culturale tra la comunità di cura e la comunità impaurita fu Camillo De Piaz, tiranese e fondatore a Milano con Davide Maria Turoldo della Corsia dei Servi. Per dirla con il Cardinale Martini egli si mise in mezzo con un “cristianesimo di minoranza” tant’è che oggi Camillo, Davide e il Cardinale Martini sono rappresentati in una targa posta nel piazzale della Comunità. Che per decisione del Comune sarà spostata nella piazza della Basilica. Annuncio fatto dal Sindaco nella giornata in cui il 7 maggio scorso si è inaugurato con un convegno pubblico il trasferimento della Comunità di recupero dal Convento all’ex carcere ristrutturato.
I tempi di crisi del welfare, nazionale e locale, fanno del Comune e del Sindaco attori a scarsità di risorse a cui rimane in mano il cerino del disagio sociale. Ai Sindaci il Ministero dell’Interno chiede di mobilitarsi per l’accoglienza dei profughi. L’alleanza tra Comunità e Sindaco ha reso possibile far diventare l’ex Tribunale uno SPRAR.
La ristrutturazione dell’ex carcere non sarebbe stata possibile senza l’intervento della Fondazione Cariplo, il che induce a riflettere a fronte della scarsità delle risorse pubbliche, del rapporto necessario per realizzare un welfare di comunità, tra la comunità di cura e la comunità operosa. Così definisco il rapporto tra volontariato, associazionismo, impresa sociale e la dimensione economica necessaria per operare.
Questa piccola storia locale ci insegna in primo luogo che occorre tempo per sciogliere il grumo communitas-immunitas che alimenta le paure delle comunità locali sensibili ai rumori che fanno paura prima citati. Che il rancore, si scioglie solo con la mobilitazione di una pluralità di attori sociali, dal mediatore culturale Padre Camillo sino al Sindaco che accompagna l’evoluzione della comunità e ultimo ma non ultimo, le risorse necessarie per ridisegnare un welfare di comunità. A fronte della crisi del welfare la parola magica sembra essere sussidiarietà.