Scegliete di raccontare la disabilità al di là dei pregiudizi
“Scegliete il tema della disabilità e interrogatevi su come fare informazione perché altrimenti vi sceglieranno e parleranno per voi le rappresentazioni della disabilità, che sono stigmatizzanti”.
È l’invito arrivato ai giornalisti dai docenti del corso di formazione “La bellezza della fragilità tra narrazione, comunicazione e linguaggi” che si è tenuto ieri a Monza su iniziativa di CSV Monza Lecco Sondrio, CSVnet Lombardia-Confederazione regionale dei centri di servizio per il volontariato e Ordine dei giornalisti della Lombardia.
I presenti – una cinquantina di giornalisti e una trentina di realtà associative e del terzo settore – hanno ricevuto diversi spunti su cui riflettere.
Matteo Schianchi, docente e ricercatore della Bicocca ha centrato il suo intervento sul rapporto tra comunicazione e disabilità: “Raccontare la disabilità implica sempre una scelta, se noi definiamo e rappresentiamo la disabilità in un modo piuttosto che in un altro stiamo contribuendo a dare un’immagine pubblica di disabilità che rientra in una serie di schemi già noti oppure possiamo contribuire a cercare di dare un’immagine diversa che renda giustizia della complessità del reale e che possa scardinare alcune dimensioni del pregiudizio”.
La disabilità diventa un tema sociale con la Prima Guerra Mondiale e la sua rappresentazione come Terza Nazione del Mondo dopo Cina e India. A livello mondiale interessa il 15% della popolazione, nei Paesi occidentali tra il 5 e il 10%, in Italia si stima siano coinvolte 10 milioni di persone.
Antonella Patete, giornalista di Redattore sociale e coordinatrice della rivista SuperAbile INAIL, ha inquadrato la tematica dando una cornice deontologica e legata alla Convenzione Onu dei diritti delle persone con disabilità.
“La rappresentazione della disabilità a mio parere è migliorata con gli anni, trovando diverse sfaccettature: pietà, celebrazione, ironia (ridere è possibile!), cinismo – ha spiegato – spesso le persone disabili vengono “elogiate” per il solo fatto di essere disabili e gli atleti paralimpici sono i nuovi super-eroi pop della contemporaneità”.
La giornalista ha lasciato ai colleghi alcune indicazioni utili sul linguaggio da utilizzare quando si parla di persone con disabilità e sui termini che è meglio non utilizzare come diversamente abile, non udente/ non vedente, costretto in carrozzina e altri ancora. Nell’incertezza si può fare una cosa: chiedere ai diretti interessati.
Il direttore di Ledha (la Lega per i diritti delle persone con disabilità) Giovanni Merlo ha sottolineato come non ci sia alcuna neutralità possibile nell’affrontare certi temi: “Il tempo che vivono le persone con disabilità e le loro associazioni è il tempo della distanza. Siamo andati avanti tantissimo nell’affermazione dei diritti, ma adesso abbiamo bisogno che quei diritti vengano rispettati. C’è una distanza di pensiero, di consapevolezza, di idee che ciascuno di noi ha della disabilità. Dovete essere curiosi, porvi delle domande, aver voglia di scavare sotto la superficie e far emergere i problemi e riconoscere e mettere in scena i diversi punti di vista della disabilità”.
“Non siamo ancora d’accordo su cosa sia la disabilità – ha rimarcato – quand’è che uno è “loro” e non “noi”, dov’è questo confine? La menomazione non è l’aspetto più significativo, parlare oggi di disabilità dovrebbe significare riconoscere e far riconoscere la discriminazione in cui vivono oggi le persone con disabilità. Nello sport da una parte ci sono gli atleti paralimpici e dall’altra come mai ancora oggi nelle scuole i bambini con disabilità non fanno ginnastica Insieme ai loro compagni?”
Secondo Merlo è impossibile raccontare e ragionare sulla disabilità se non ragioniamo sulla normalità mettendo in evidenza le crepe e le contraddizioni della normalità. Ed è proprio in questa frattura che si può trovare qualcosa di interessante rispetto al tema della bellezza, della creatività, dell’espressività perché in qualche modo altera uno dei meccanismi della normalità.
Lo sa bene Andrea Paolucci, condirettore artistico del Teatro dell’Argine di Bologna, che ha raccontato come in teatro la diversità è un valore e la fragilità può diventare un punto di forza: “La bellezza e la preziosità della fragilità viene ricercata e diventa elemento poetico e artistico – ha spiegato – partendo da una solitudine e da una diversità, dando valore a quella differenza, si può ricreare una comunità. Il teatro è il Terzo spazio, un luogo dove siamo entrambi non idonei”.
Il corso di formazione promosso dai CSV ha anticipato l’apertura del Festival di buone pratiche tra teatro e disabilità Lì Sei Vero, in scena a Monza da oggi a domenica 19 maggio.
Daniela Longoni, psicologa, psicoterapeuta e condirettore artistico del festival è intervenuta trasmettendo ai presenti la bellezza del conoscere e vivere l’esperienza teatrale con attori che hanno sempre il sorriso e hanno voglia di accoglierti e abbracciarti sempre e comunque.
Giovanni Vergani ha presentato la rete e il progetto TikiTaka, equiliberi di essere, da lui coordinati, rimarcando il valore sociale di ogni persona e di ogni diversità che incontriamo e da cui è possibile farsi contagiare senza avere paura.
Donato Matturo di Joomla Lombardia ha presentato la Giornata mondiale dell’accessibilità digitale.
Tutti i contenuti del festival Lì Sei Vero li potete trovare qui.
Un grazie ad Arianna Monticelli, redattrice de Il Cittadino di Monza e Brianza che ha moderato il corso.
Il corso di formazione è stato fortemente voluto dall’Area Cultura e Valori del CSV Monza Lecco Sondrio, che si sta sempre più ponendo come interlocutore privilegiato sui territori per tessere relazioni e far riflettere sui valori di cui è portatore il mondo del volontariato e sul significato che la comunità e i media gli attribuiscono. Con l’obiettivo ultimo di dare voce a chi non ha voce costruendo coesione sociale e offrendo sguardi nuovi e punti di vista differenti a quelli che siamo abituati a sentire e vedere nella cronaca quotidiana.