Nascono a Lecco due angoli riparativi e di incontro sulla Giustizia Riparativa
Ricostruire i legami come risposta al bisogno di giustizia sociale. Lo si può fare mettendosi in un angolo. E scegliendo di posizionarsi.
Dalla parte di chi cerca di ricomporre le storie delle persone e i legami frammentati, di trovare dei punti di incontro e di collaborazione oppure dalla parte di chi crede alle rappresentazioni dell’altro che creano distanze, fratture e separazioni, alimentando il clima di astio, di sospetto e di micro-ingiustizia diffusa.
Non basta però un angolo qualsiasi. A Lecco saranno inaugurati il prossimo 23 e 24 novembre due ANGOLI RIPARATIVI.
Cosa sono? Punti di incontro, luoghi dove le persone che vivono in una cittadina come quella di Lecco possono incuriosirsi del perché si parla di Giustizia Riparativa, possono prendere un libro, un film, chiedere informazioni, esprimere un interesse e magari anche lasciarsi coinvolgere da un tema come questo, partecipare un po’ più da vicino, capire quali sono le domande di giustizia che tutti i giorni le persone si fanno.
Le domande di giustizia sono ovunque, nelle piazze, nelle case, nelle strade, nei bar.
Un angolo riparativo non è uno sportello istituzionale e non è un ufficio, è un luogo di incontro culturale e di sensibilizzazione per parlare alla città e far conoscere i valori e i principi dell’approccio riparativo.
È un angolo, in un posto pubblico, dove ogni tanto si potranno trovare delle persone, i volontari del Tavolo lecchese per la Giustizia Riparativa, e dialogare con loro su questo tema.
È anche un luogo in cui raccontare che c’è stato un danno e c’è una sofferenza che sta viaggiando, ma che non trova un ascolto.
Anche dagli angoli si possono lanciare dei messaggi.
Lo hanno fatto lo scorso 4 novembre Bruna Dighera, psicologa giuridica e psicoterapeuta del Tavolo lecchese per la Giustizia Riparativa di Lecco; Ivo Lizzola, docente dell’Università di Bergamo e Roberta Ribon, avvocata e mediatrice penale.
La location scelta è stata il Bradipo Caffè di Lecco in Corso G. Matteotti 7, destinato a diventare uno dei due angoli riparativi del territorio.
“La nostra comunità, la nostra convivenza, è fatta anche da una serie di presidi, di luoghi-soglia in cui vengono ricomposte le storie delle persone e i legami dove si frammentano. Quali sono questi luoghi di ascolto e di attenzione a Lecco? – ha domandato Lizzola ai giornalisti e ai volontari presenti – Molte volte luoghi come i bar elaborano rappresentazioni dell’altro che sono frutto di stereotipi. Far nascere un angolo riparativo all’interno di un bar vuol dire entrare in un luogo della contraddizione e provare a narrare storie diverse. Si può pensare che far finire le istanze riparative di ricostruzione dei legami in un angolo non sia il massimo eppure è la sensazione che abbiamo tutti. Ci sono tutta una serie di luoghi che spesso si caratterizzano per essere luoghi in cui si elaborano distanze o rappresentazioni dell’altro che creano fratture e separazioni. Come possiamo fare in modo che questi angoli provochino invece forme di collaborazione?”.
Il problema della Giustizia Riparativa non riguarda solamente l’ambito giuridico, ma rimanda ad un serio problema di giustizia sociale: nelle relazioni interpersonali c’è bisogno di riconciliazione, di ricomporre i legami, di ri-incontro dentro la convivenza.
“Ognuno di noi dovrebbe chiedersi quanto sta lavorando per riconfermare i malumori rancorosi della società dei giusti che deve condannare per forza coloro che sono considerati non giusti – ha proseguito il docente – oppure quanto invece collabora e riesce a tessere dall’altra parte per costruire un modo di incontrare l’altro che contrasti il clima di astio, di sospetto e di micro-ingiustizia diffusa”.
La serata è stata promossa dal Tavolo lecchese per la Giustizia Riparativa in collaborazione con il CSV Monza Lecco Sondrio, all’interno del progetto Innominate Vie, finanziato dal Bando Volontariato 2018
“Parlare di giustizia in un angolo non è casuale. La Giustizia Riparativa ha la sensazione che la giustizia “punitiva” si trovi un po’ all’angolo perché spesso chi viene punito tende a reiterare il reato – ha rimarcato Bruna Dighera – la Giustizia Riparativa dialoga con la giustizia “punitiva” e la giustizia riabilitativa chiedendosi se si può fare qualcosa di diverso, se si possa trovare una strada che aiuti a superare quello che è avvenuto nella giustizia di tutte le parti coinvolte: la vittima (chi ha subito il danno), il reo (chi l’ha generato) e la comunità (di cui fanno parte l’uno e l’altro). La comunità da che parte sta? Cosa vede? Cosa pensa? Cosa ne sa? L’angolo riparativo è sul versante della comunità”.
L’angolo riparativo vuol fare incontrare concretamente le persone dando valore all’incontro, nell’era dei social.
Ivo Lizzola ha lanciato anche il messaggio di come sia necessario posizionarsi per fare giustizia: “Ognuno di noi deve sentirsi responsabile come operatore sociale, educatore, giornalista, avvocato e operatore di giustizia da dentro i luoghi delle ferite e pensare alle proprie responsabilità cioè al proprio posizionamento rispetto alle ferite, sia a quella della vittima che a quella del feritore, anche lui portatore di una componente di vittima perchè ha ferito se stesso, la sua vita e la sua possibilità di rimettersi in gioco”.
Roberta Ribon è intervenuta sottolineando come quando si parla di giustizia riparativa ognuno abbia una propria raffigurazione della stessa e usi un linguaggio differente: “La narrativa non dev’essere mai disgiunta dalla pratica e occorre riportare la centralità nel cuore della riparazione nella sua dimensione più etica”.
E ancora: “Il reato dev’essere visto come la violazione di un patto sociale, di fronte al quale bisogna porsi delle domande: chi è che è coinvolto da questa dinamica? Chi ne sta soffrendo? Si esaurisce tutto con la sanzione o si possono aprire le strade per una visione riparativa che ripaghi tutte le parti coinvolte?”.
I relatori hanno rimarcato alcuni concetti chiave da tenere ben presenti quando si affronta questo tema: “La Giustizia Riparativa non è il risarcimento economico e non è neanche fare i lavori socialmente utili. È un percorso in cui le persone, incontrandosi, riflettono su quello che è avvenuto, sulla sofferenza che hanno subito e su chi l’ha generata. L’incontro tra vittima e reo serve perché il danno venga riparato e non risarcito. È un percorso volontario tra l’autore del reato, la vittima e magari anche un rappresentante della comunità e il senso viene dato proprio dal percorso che si sceglie di intraprendere. La Giustizia Riparativa è ricostruttiva, riapre possibilità di vita e di riparazione nonostante la cicatrice del danno, che rimane”.
Quando viene attivato un percorso di Giustizia Riparativa?
In qualunque momento, tenendo conto dei tempi delle persone, a volte per iniziativa del reo, altre della vittima o di terzi. È un percorso complementare alla giustizia che può avere inizio dentro o fuori il procedimento giuridico e dell’esecuzione penale.
“La Giustizia Riparativa non fa bene, anzi, per un lungo tratto fa stare male perché lavora sulle sofferenze, sei inchiodato a quello che hai fatto e stai male, ti rendi conto del male che hai procurato e stai male e la stessa vittima deve fare i conti con la voglia e la necessità di dire il suo rancore – è stata la conclusione di Lizzola – è importante che sappiamo star male, del male degli altri e di quello che procuriamo noi”.